Dedicato a Maria Immacolata e alle sue sorelle ferite a morte

Ha continuato a minacciarla anche in ospedale “Se non stai zitta ti meno”. Nell’auto hanno trovato gli schizzi di sangue sul cruscotto e sui finestrini perché la sua ira non si placava neanche nel tragitto. Maria Immacolata Rumi è morta di botte. Anzi, per la verità è morta per 20 anni di botte. In quell’abitazione di Reggio Calabria si consumava un pezzo di omicidio ogni giorno, ogni mese, ogni anno e nessuno interveniva, neanche i figli della coppia, che hanno raccontato agli investigatori che lui la picchiava anche con un bastone, né i vicini. Né, soprattutto la vittima. Perché le donne a volte sono così, mettono l’amore dentro ogni cosa e scambiano un calcio nello stomaco per un gesto di attenzione. Maria Immacolata Rumi è morta massacrata dall’uomo che amava e che per due decenni ha continuato a prenderla a pugni e calci sotto gli occhi dei loro figli. Aveva 53 anni. E’ successo poche settimane fa a Reggio Calabria. Pochi giorni dopo Rosaria Aprea, 20 anni, è arrivata in fin di vita all’ospedale di Caserta. Ha denunciato il fidanzato geloso. Non aveva fatto altrettanto negli anni scorsi, la prima volta che era finita per le botte al pronto soccorso. La ventenne, una bellissima ragazza che ha vinto anche un concorso per miss, ai medici in quell’occasione dichiarò di essere caduta accidentalmente. Stavolta ha denunciato l’aggressore. Si chiama femminicidio, è l’omicidio di una donna in quanto tale. Queste donne sono state uccise dai loro mariti, ex, padri, fratelli, compagni, amanti, solo ed esclusivamente perché “femmine”. E non sono omicidi preterintenzionali, per dirla in gergo giuridico, non sono improvvisi. Una violenza quotidiana non è un raptus. Se il compagno di Maria Immacolata ogni giorno le sferrava un pugno perché la cena non era pronta o voleva sfogare le sue frustrazioni non possiamo dire che una mattina di primavera è impazzito ed ha “calcato la mano”. Nel 2013 c’è di più: anche in Italia stanno iniziando a sfigurare le donne con l’acido. Esattamente come avviene in altri Paesi che noi occidentali consideriamo “terzo mondo culturale”. Non sto parlando di casi che riguardano stranieri ma di italiani che sfigurano italiane. L’acido al volto è la volontà di cancellare l’individualità dell’altro, in questo caso la propria compagna. E’ successo a Pesaro, Vicenza e Milano. A Lucia, Vania e ad una terza donna incinta rimasta anonima. Nel 2012 le vittime del femminicidio sono state 122. Secondo le stime accade un caso ogni due giorni e 7 volte su 10 la donna in passato ha denunciato l’aggressore. fosse accaduto in Sicilia che in un anno si uccidono 122 persone si sarebbe parlato di strage di mafia e nell’isola sarebbero sbarcati l’esercito, i marines, i caschi blu e si sarebbero varate norme speciali. Muoiono 122 donne e ci limitiamo a contarle. Nel 2013 la cifra salirà. Ne conteremo di più, come le mosche a fine estate o le zanzare. “Ferite a morte” è un progetto teatrale che Serena Dandini porta in giro per l’Italia e che comprende anche una petizione per la convocazione degli Stati generali e quindi una normativa che tuteli le donne, sia con strutture-rifugio che con la prevenzione e la repressione dei reati. Il 27 maggio arriverà in Parlamento il disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Il problema però è culturale. Le donne vengono uccise da chi conoscono e amano o hanno amato, da persone “fidate”. I centri anti-violenza ci sono, ma sono pochi e poco finanziati, le norme ci sono ma non bastano perché difendere le donne da “loro stesse”, termine inteso nel modo più ampio perché coinvolge il “nido” della donna, è difficilissimo. Devi riuscire a entrare nel “nido” che diventa prigione e spezzare le sbarre. Non c’è ancora un monitoraggio reale con i dati delle istituzioni e delle associazioni sul fenomeno. Non esiste nelle scuole un’educazione ai sentimenti, agli affetti, alle relazioni, che aiuti gli adolescenti al rispetto di genere. Ed è questo l’aspetto più fragile della catena. Difendere le donne con strutture e leggi non basta, occorre anche agire per prevenire culturalmente e socialmente. Perché non possiamo limitarci a dire che il femminicidio è frutto di una mentalità retrograda e arretrata culturalmente. Tutt’altro. I femminicidi avvengono oggi. Quando leggo degli stupri del branco di minori su una loro coetanea penso all’urgenza dell’educazione ai sentimenti, agli affetti, alle relazioni che aiuti i nostri adolescenti al rispetto delle donne. Non è facile nella società del consumismo che presenta l’immagine della donna esattamente come un’altra merce sul bancone. E’ da lì che dobbiamo iniziare. Quando facciamo credere agli uomini che noi siamo merce quindi oggetto il passo è breve. Un oggetto non ha un’anima, non ha vita, appartiene a chi lo “detiene” che può farne quello che vuole, anche prenderlo a pugni fino ad ucciderlo. Il marito di Maria Immacolata non ha battuto ciglio né pianto di fronte al corpo martoriato della donna che ha ucciso ogni giorno. La Presidente della Camera Laura Boldrini nell’intervenire sul femminicidio ha sottolineato quest’aspetto: “L’Italia è tappezzata di manifesti di donne discinte e ammiccanti usate per vendere di tutto dai dentifrici allo yogurt. In tv i modelli femminili proposti sono la casalinga e la donna-oggetto, possibilmente seminuda e muta. Da lì alla violenza il passo è breve”. Il problema è quello dei modelli proposti e la Boldrini si è soffermata sul fenomeno culturale. Se il modello proposto è quello di un oggetto inanimato rischiamo di crescere generazioni che scambiano le donne per bambole gonfiabili che puoi sostituire con un’altra sullo scaffale quando la precedente si rompe perché l’hai fatta a pezzi. Un oggetto non pensa, non ha opinioni, non sa difendersi, ti appartiene. Mentre scrivo non so neanche quante donne in Italia hanno denunciato per stalking il loro molestatore, quante hanno nascosto i lividi, quante hanno detto piangendo “lo denuncerò un’altra volta”, quante hanno confuso il perdono con la concessione d’impunità, quante si son dette “è l’ultima volta”, quante, nel profondo del loro cuore hanno pensato “forse me lo sono meritato”. Tra di loro c’è la prossima Maria Immacolata. Fermateli. Come fermiamo la mafia, la ‘ndrangheta, come fermiamo gli estortori e i pedofili. Fermiamoli. Ma possiamo farlo solo se noi donne per prime impariamo a difenderci e possiamo farlo se ci rispettiamo e sappiamo di non essere sole. No, io non me lo sono meritato. No, non sarà l’ultima volta. Anzi, la prossima volta potrebbe davvero essere l’ultima volta, come lo è stata per Maria Immacolata Rumi.

Rosaria Brancato