Il Diluvio Universale – La riscoperta di un’opera scritta a Messina

Il Diluvio Universale – La riscoperta di un’opera scritta a Messina

giovanni francio

Il Diluvio Universale – La riscoperta di un’opera scritta a Messina

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mercoledì 09 Gennaio 2019 - 06:52
Filarmonica Laudamo

Ancora una volta l’Ensemble di strumenti antichi “Orpheus”, diretto da Carmine Daniele Lisanti, ed il Coro Polifonico “Luca Marenzio”, integrato dalle voci giovanili “Note Colorate”, dirette da Giovanni Mundo, e quest’anno anche dalle voci bianche “I piccoli cantori di Barcellona” dirette da Salvino Miano, ha proposto il giorno dell’Epifania un concerto di un autore barocco italiano da riscoprire. L’anno scorso, ospiti dell’Accademia Filarmonica, il concerto, tenutosi nella Chiesa di Santa Caterina, ebbe per protagonista la musica di Domenico Zipoli, un contemporaneo di Bach, gesuita missionario, conosciuto solo dagli addetti ai lavori, ma anche da insegnanti e studenti del conservatorio, per via di sue composizioni inserite in raccolte di partiture di clavicembalisti italiani. Quest’anno, ospiti della Filarmonica Laudamo, l’Ensemble di strumenti antichi “Orpheus”, ed il Coro Polifonico “Luca Marenzio” hanno eseguito, al Palacultura, “Il Diluvio universale” di Michelangelo Falvetti, autore calabrese, pochissimo conosciuto, vissuto nella seconda metà del 600, che è stato molto attivo in Sicilia in qualità di Maestro di Cappella prima al Duomo di Palermo e poi a Messina. La riscoperta di un autore italiano barocco, a cura della consueta meritoria opera filologica dell’Ensemble di strumenti antichi “Orpheus”, desta nella fattispecie particolare interesse, sotto diversi profili. Innanzitutto, ovviamente, le origini dell’autore, nato a Melicuccà (Calabria) ma vissuto buona parte della sua vita in Sicilia, e in particolare a Messina, ove scrisse appunto l’opera rappresentata. Altro motivo di interesse è la provenienza dell’unico manoscritto della composizione, conservato in quella autentica miniera libraria e documentale costituita dalla Biblioteca Regionale Universitaria G. Longo di Messina. Tale manoscritto reca la seguente iscrizione: “Dialogo a cinque voci e cinque strumenti del Signor Don Vincenzo Giattini. Posto in musica dal Rev. M. Falvetti Maestro della Real Cappella di questa Nobile città di Messina 1682” Infine la sorprendente qualità artistica dell’opera, sottolineata anche dal prof. Nicolò Maccavino, che ha introdotto il brano. Si tratta di un dialogo a cinque voci, che rappresentano la Giustizia Divina, Noè, Rad (moglie di Noè), Dio, la Morte, la Natura Umana e l’Acqua (interpretate dalla stessa voce di contralto). Si svolge in quattro atti, una sorta di opera in miniatura, senza interruzioni (tecnicamente potrebbe definirsi un oratorio): In Cielo; In Terra; Il Diluvio; In l’Arca di Noè. Colpisce lo slancio drammatico, la vocazione teatrale dell’opera, talora la sua drammaticità, soprattutto nei cori del terzo atto, elementi che ne fanno un capolavoro estremamente moderno per l’epoca, anche se trattasi di una tipica opera della Controriforma, come osserva il musicologo Fabrizio Longo, frutto di una scelta “conservatrice” dal momento che probabilmente fu ispirata dalla terribile repressione operata dagli spagnoli sui messinesi dopo le rivolte degli anni 1674 e seguenti. Un plauso ai cantanti, in particolare Caterina D’angelo (la Giustizia Divina), ma anche gli altri sono stati tutti all’altezza del compito: Santina Tomasello (La Natura Umana e L’Acqua; Daniele Muscolino (Dio); Simone Lo Castro (La Morte); infine Angelo Quartarone (Noè) e Alessandra Foti (la moglie Rad), protagonisti tra l’altro di due splendidi duetti lirici nel secondo atto – “Dolce sposo Noè”e “Il Gran Dio di pietà”, accompagnati dai bravissimi flauti diritti Piero Cartosio e Alessandro Nasello. A proposito degli strumentisti, è sempre un piacere ascoltare strumenti di epoca barocca, come i violini suonati da Giuseppe Fabio Lisanti e Gianfranco Lisanti, la viola da gamba, meraviglioso strumento precursore del violoncello, di Nereo Luigi Dani, il contrabbasso, suonato da Rosario Riso, la viola di Carmine Renato Ambrosino, i flauti di cui ho già detto, le percussioni, importanti nei piacevolissimi brani “ritmati”, suonate da Mariagrazia Armaleo. Infine, potrei dire quasi dulcis in fundo, la tiorba, una sorta di liuto con le corde molto più lunghe, simile all’arciliuto, strumento ormai di rara presenza, ma che ha assunto un ruolo fondamentale nella struttura dell’oratorio, per l’esecuzione di Silvio Natoli. Ottimi i cori, protagonisti di alcuni dei brani più belli e drammatici, eccellente infine la direzione, appassionata ed entusiasta, di Carmine Daniele Lisanti. Intensa partecipazione del pubblico, che ha risposto numeroso, ed ha mostrato di apprezzare un brano che meriterebbe senz’altro ben altra diffusione nelle sale da concerto.

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