Indagati Genovese, Rinaldi ed altre nove persone. Le dichiarazioni dei due deputati e del loro legale

All’indomani delle elezioni amministrative che hanno sancito la sconfitta del centrosinistra scattano i provvedimenti della Procura di Messina nell’inchiesta sul mondo della formazione professionale. Undici gli indagati, fra cui diversi nomi eccellenti, con ipotesi di reato di associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Sono stati iscritti nel registro degli indagati l parlamentare nazionale messinese del Pd Francantonio Genovese, il cognato e parlamentare regionale del Pd, Franco Rinaldi, la moglie di Genovese, Chiara Schirò, la cognata Giovanna Schirò, la sorella Rosalia Genovese, il nipote Marco Lampuri, e Nicola Bartolone, Graziella Feliciotto, Salvatore Natoli, Roberto Giunta e Concetta Cannavò. Si tratta di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e condotta insieme con i sostituti Camillo Falvo, Fabrizio Monaco e Antonio Cerchietti. La notizia degli “avvisi” è giunta dopo la richiesta di una proroga delle indagini di sei mesi concessa dal gip Giovanni De Marco. Sotto la lente d’ingrandimento della Procura, infatti, sono finiti i finanziamenti ottenuti dalla Regione Siciliana da alcuni centri di formazione professionale riconducibili ad alcuni indagati o a loro stretti familiari. Ma riguarda anche la compravendita o cessione di rami d’azienda intervenuti in questi anni tra alcuni enti di formazione. E’ bene precisare tuttavia che non vi è incompatibilità fra la posizione di indagato di Genovese con il suo mandato di parlamentare nazionale. Per quanto riguarda l’autorizzazione a procedere la normativa non impedisce ai magistrati d’indagare un parlamentare nazionale. Solo in un secondo momento sarà necessaria l’autorizzazione a procedere, cioè verrà avanzata la richiesta ad uno dei rami del Parlamento. L’inchiesta sugli enti di formazione professionale riconducibili a Genovese e Rinaldi segue il troncone riguardante l’Ancol, l’ente riconducibile all’ex assessore comunale Melino Capone, indagato insieme con altre due persone per i finanziamenti ottenuti dalla Regione Siciliana. Si tratta di 13 milioni di euro incassati fra il 2006 ed il 2011 quando ormai l’Ancol nazionale gli aveva revocato la carica di commissario siciliano.

Intanto sull'inchiesta che vede coinvolti i due deputati del PD è intervenuto con una nota l'on. Francantonio Genovese: "Mi preme sottolineare l’assoluta fiducia nell’operato della magistratura. La giustizia farà il suo corso e sono certo di potere dimostrare la correttezza della mia posizione. Con serenità affronto questo momento, con la consapevolezza che le tutele garantite dal nostro ordinamento giudiziario a chi è indagato mi consentiranno di chiarire ogni aspetto della vicenda. Resto quindi a disposizione della magistratura sin da subito al fine di potere sgomberare il campo da qualsiasi ombra che riguarda il mio operato e contribuire, con le mie dichiarazioni, a chiarire il quadro dell’inchiesta".

Anche il cognato Franco Rinaldi ha deciso di rilasciare una dichiarazione: "Ho piena fiducia nella giustizia e pertanto sono a disposizione dei magistrati per fare chiarezza in merito a quanto mi viene addebitato attraverso la comunicazione di proroga delle indagini nei miei confronti. certo di avere sempre operato nel pieno rispetto delle regole e della legalità sono pronto a chiarire qualsiasi fatto contestatomi".

DIACHIARAZIONE AVVOCATO NINO FAVAZZO Nella mia veste di difensore di alcuni dei destinatari della notifica dell'avviso di proroga delle indagini aventi ad oggetto la "Formazione professionale" a Messina, mi è stato richiesto, da diversi Organi di stampa, di rilasciare una dichiarazione in merito. È evidente che, allo stato, non posso esprimere alcuna valutazione in relazione ad una indagine, doverosamente coperta da segreto, di cui nulla so e niente posso sapere. Colgo, tuttavia, l'occasione per una breve riflessione. Quando finisce il diritto alla riservatezza ed inizia il diritto alla informazione? La notizia diffusa oggi della "informazione di garanzia" di cui sono destinatari, tra gli altri, anche gli onorevoli Francantonio Genovese e Franco Rinaldi, mi induce ad una brevissima riflessione, circa il corretto esercizio del diritto di informazione. La notifica dell'avviso di deposito della richiesta di proroga dei termini di indagini preliminari, formulata dal Pubblico Ministero, è cosa ben diversa della informazione di garanzia, di cui si legge nelle agenzie di stampa. Ciò vale a dire, infatti, che gli inquirenti stanno compiendo delle indagini per verificare la fondatezza o meno di una ipotesi di reato, non hanno ancora assunto alcuna determinazione, nel termine dei sei mesi loro assegnato e ritengono necessario compiere ulteriori accertamenti e verifiche. Per poter procedere in tale direzione, dopo un primo periodo di indagini condotte "in segreto" ed autonomamente, deve essere chiesta al Giudice delle indagini preliminari una specifica autorizzazione a proseguire oltre e di tale richiesta deve essere data comunicazione alla parte interessata. Sotto un profilo squisitamente tecnico, quindi, la richiesta di proroga non è una “informazione di garanzia”, ma solo un atto dovuto per poter proseguire nelle indagini. E se così è, questo significa forse che la esistenza delle indagini e, meno che mai il suo contenuto, possano e debbano diventare di pubblico dominio, quasi che il necessario riserbo e l'obbligo del segreto vengano rimossi con la notifica di un atto, che il sistema ha previsto, solo ed esclusivamente, a tutela e garanzia del diritto del singolo? Se a ciò si aggiunge che, all'esito delle indagini, avviate e prorogate, lo stesso Pubblico Ministero può non ravvisare la esistenza di reati, chiedendo la archiviazione anziché esercitare l'azione penale, ben si apprezza quanto sottile sia il confine tra la notizia e la corretta informazione. È tutt'altro che certo, infatti, che, per quante indagini vengano svolte, ci siano sempre e necessariamente altrettanti indagati ed imputati. Forse sarebbe bene riflettere su questo tema, prima di invocare il diritto di "informare a tutti i costi", lasciando che le indagini siano condotte "in segreto", senza alcuna interferenza mediatica e con il rispetto sempre dovuto al loro unico protagonista, che è e resta la persona ad esse sottoposta. In tali situazioni, la garanzia effettiva del diritto alla riservatezza del singolo, non dovrebbe in alcun modo essere posta in discussione e dovrebbe, piuttosto, rappresentare una naturale espressione del comune sentire collettivo. Avv. Nino Favazzo