Un’evasione nel cielo: le rose che nascono dagli errori

Da un’esperienza drammatica può nascere un’esperienza artistica; “certi errori fanno nascere rose”. Le rose sono i frutti fatati che nascono dalla disperazione di chi, chiuso in una cella che misura quattro passi per cinque, deve vivere in un mondo parallelo, immaginario. È “un’evasione nel cielo”. È l’evasione di Jean Genet, è l’evasione di Pippo Venuto (unico attore in scena), è l’evasione dell’essere umano. Invece di abbrutirsi, si ricorre all’arte, alla bellezza.

E così, le manette di Harcamone, il condannato a morte, non sono più tali, bensì ghirlande di rose bianche. Nessuno lo vede, se non il nostro “evaso”. Solo lui può vedere la bellezza dietro l’inferno; tutti gli altri, le guardie, l’avvocato, il prete, non possono vedere il miracolo di Harcamone e del mondo nascosto al suo interno: loro, rimpiccioliti, visitano questo mondo, ma solo per distruggere e depredare quella rosa rossa purpurea che è il cuore di Harcamone. Questa è la brutalità del carcere, e del mondo, dal quale ci si può salvare solo con le rose, l’immaginazione.

In veste di rosa” nasce anche e soprattutto dall’esperienza personale di Pippo Venuto, che, con una cadenza asciutta e molto intensa, tra l’italiano e il dialetto, dal Miracolo di Genet arriva alla sua esperienza personale, sotto la regia di Domenico Cucinotta, del Tetro dei Naviganti. Venuto ha cominciato infatti a recitare nella Compagnia della Fortezza di Volterra, dove gli attori sono appunto carcerati. E Jean Genet, d’altro canto, pure passò molti anni in carcere, e questo segnò profondamente la sua opera letteraria.

Questo spettacolo è intenso proprio perché è vero, è stato vero per il protagonista e per l’attore. È una storia fondamentalmente universale. “Cosa ci faccio qui in bilico come un funambolo? Questa è una pazzia”. Venuto è un attore “giovane”, ma di grande sentimento.

Lavinia Consolato