Città Metropolitane e Liberi Consorzi, il professor Saitta: “Una riforma capovolta”

Entro ottobre i comuni siciliani dovranno scegliere a quale “libero” Consorzio aderire e, nel caso dei municipi in prossimità di Catania, Messina e Palermo, anche se far parte delle Città metropolitane istituite con legge regionale n. 8 del 2014.

Si tratta della seconda tappa di un complesso processo riformatore, avviato in Sicilia con la legge n. 7 del 2013, con la quale erano stati soppressi gli organi elettivi delle Province regionali, che non sarà concluso neppure dall’emanazione di una nuova legge regionale attesa per la fine dell’anno. Tutto l’impianto riformatore siciliano, infatti, verrà rimesso in discussione sia dalla legge statale di riordino delle province (c.d. L. Delrio approvata pochissimi giorni dopo la legge siciliana n. 8) e, soprattutto, dalla riforma costituzionale in questi giorni all’esame del Senato e destinata a mutare profondamente l’assetto organizzativo di tutti gli enti territoriali intermedi.

Insomma, in un quadro generale in convulso movimento, logica e buon senso avrebbero consigliato di attendere prima la definizione della cornice costituzionale, quindi, quella legislativa statale e solo da ultimo quella regionale perché anche in una regione, come quella siciliana, dotata di potestà legislativa esclusiva, non si può certo prescindere dai riferimenti generali della materia.

A ciò si aggiunga che le leggi regionali oggi in vigore pongono tempi stretti (e molte difficoltà) ai comuni che volessero modificare l’adesione alle Città metropolitane e ai liberi consorzi comunali e non dicono sostanzialmente nulla circa le competenze che in nuovi enti intermedi dovranno svolgere. I Comuni, pertanto, dovrebbero scegliere a quale ente aderire (libero consorzio o Città metropolitana) non si sa bene in base a quale elemento discriminante, se di ordine puramente geografico, campanilistico o storico: di sicuro non in base ad un corretto rapporto tra competenze, funzioni (ancora ignote) e struttura dell’organo chiamato a darvi cura.

La riforma in atto, peraltro, tanto anticipata nel tempo rispetto a quelle costituzionale e nazionale, non tiene neppure conto del fatto che la provincia, seppur soppressa come ente autonomo territoriale, resta in vita quale ambito di decentramento delle fondamentali funzioni statali e regionali: Prefetture, uffici finanziari, Soprintendenze, Uffici del Genio civile, Aziende Sanitarie Provinciali (appunto) continuano ad operare avendo come riferimento i vecchi confini interni alla Regione e, quindi, a considerare quella dimensione dei problemi e degli interessi pubblici sui quali sono chiamatati a intervenire. Lo stesso vale, e non è una considerazione secondaria, per i collegi elettorali, conformati sulla base dei confini provinciali, ponendo una questione assai rilevante tra dimensione dell’ente intermedio e rappresentanza degli interessi territoriali in sede regionale e statale.

La legge n. 8, inoltre, è intervenuta modificando l’ambito intermedio degli enti territoriali in Sicilia, quasi che fosse solo questo il segmento del governo locale a non funzionare. Come la stragrande maggioranza degli studiosi riconosce da tempo, il primo intervento necessario per riformare gli enti locali (in Sicilia come nel resto d’Italia) sarebbe quello volto a modificare la dimensione territoriale dei comuni o, quantomeno, a favorire processi aggregativi nella gestione dei servizi ai cittadini posto che dall’attuale irrazionale frammentazione derivano soltanto inefficienze e costi insostenibili.

L’altro punto centrale, che la istituzione dei liberi consorzi non scalfisce neppure, è la riforma dell’amministrazione regionale e del rapporto tra le competenze di questa e quelle degli enti locali. Basti pensare che tra le pieghe della L. n. 8 è implicito che, seppur i comuni riuscissero a proporre un assetto territoriale diverso da quello risultante dalla riforma (ad oggi, la legge prevede solo il cambio di nome delle attuali province regionali in liberi consorzi oltre all’istituzione delle tre Città metropolitane), sarà pur sempre la legge regionale a dare l’assetto definitivo dei nuovi enti, libera anche di disattendere le indicazione dei consigli comunali e del referendum delle popolazioni interessate.

In sostanza, una riforma capovolta, dalla quale è facile immaginare che, a conclusione del processo, assai difficilmente il sistema amministrativo siciliano migliorerà in termini di efficienza e, parola desueta, democrazia.

Antonio Saitta, Ordinario di diritto Costituzionale, Università di Messina