Massimo Coglitore racconta il Fotogramma d’Oro e le sue premiazioni

Dal 25 al 28 si è tenuta, presso la Sala Fasola, la 48esima edizione del festival internazionale Fotogramma d’Oro, che ha visto la partecipazione di ben 67 cortometraggi, della durata media dai 10 ai 20 minuti. La giuria, composta dal regista Massimo Coglitore, dalla docente di Storia del Cinema Alessia Cervini dell’Università di Messina, dalla psicoanalista Donatella Lisciotto, dallo sceneggiatore e produttore Francesco Torre e dal docente di Cinema e regista Francesco Gulletta (Messina Film Commission) ha assegnato il Fotogramma d’Oro a “Rabie Chetwy” di Mohamed Kamel (Egitto); il Fotogramma d’argento a “Democracia” di Borja Cobeaga (Spagna); il Fotogramma di bronzo a “Nel silenzio” di Lorenzo Ferrante e Matteo Ricca (Italia). Massimo Coglitore, regista messinese che vive a Roma, che ha coperto il ruolo di presidente della giuria, ci racconta questa edizione del festival.

Il Fotogramma d’oro è un’occasione per i giovani?

È normale che i cortometraggi li facciano i giovani, anche se il termine “giovane” in Italia è relativo. Il festival però è aperto a tutti.

C’è stata un’ampia partecipazione, non solo nostrana?

Il Fotogramma è internazionale, c’è stata una partecipazione sia da parte di autori siciliani, con qualche messinese, sia, e mi ha sorpreso, di autori internazionali. Il Fotogramma è un festival internazionale di cortometraggi che ha 48 anni, ed è uno dei più anziani. È stato fermo per un paio d’anni e non si è ringiovanito, però ora si sta riprendendo. I primi cortometraggi che feci, quando avevo vent’anni, li presentai al Fotogramma d’oro.

Su cosa vertono le storie?

C’è un po’ di tutto: temi sociali, storie più intimiste, ci sono anche film d’animazione, documentari. Diventa complicato assegnare i premi quando non c’è un’unica categoria, ed è difficile mettere a confronto un film d’animazione con un film normale o anche un documentario.

Tra i vincitori ci sono sia stranieri che italiani…

Sì, il Fotogramma d’oro lo ha vinto un egiziano, il secondo premio è spagnolo, e il terzo è un corto italiano. Abbiamo cercato di premiare quei corti che avessero un senso stretto del racconto cinematografico.

Per quanto riguarda il livello artistico?

Il livello straniero è sempre alto, anche in altri festival ho notato questo. Il livello italiano a volte sì a volte no. In quello straniero c’è più preparazione, più attenzione, soprattutto alla recitazione, e un cortometraggio per loro è un film e non è una perdita di tempo. Non è necessario studiare in una accademia di regia, l’importante è che ci sia un confronto con il cinema internazionale, perché il rischio di alcuni corti italiani è che siano o troppo minimalisti o troppo intimisti, oppure la classica commedia che funziona al cinema e adattata a mo’ di barzelletta nel cortometraggio. Mentre secondo me un cortometraggio deve essere al pari della letteratura: come in letteratura abbiamo un libro di mille pagine e un racconto di venti pagine; il senso della narrazione è uguale, il linguaggio è uguale, anche nel cinema dovrebbe essere così.

Lavinia Consolato