La maglietta NO Hotspot che il sindaco non indossa. E poi c’è don Nico…

E poi c’è don Nico Rutigliano, che dopo gli anni in India adesso è a Fondo Fucile e Villaggio Aldisio. Ogni volta che sistema il campetto di calcio realizzato a suon di umiltà e beneficenza deve ricominciare da capo perché gli strappano la rete, staccano i pali delle porte. Vuol fare un campo per le ragazze, per farle giocare a pallacanestro,“useremo i canestri smontabili così non se li portano via”. Nel parco giochi restano solo gli scheletri dell’altalena e dello scivolo. E’ riuscito a trasformare un immobile dell’Iacp in Oratorio, lì si fa doposcuola e attività sociale e c’è una cappella realizzata in una stanza che aveva gli schizzi di sangue alle pareti perché si facevano i combattimenti dei cani.

E poi c’è la professoressa Lina Lenzo. Le prime volte trovava i registri di classe incendiati e non c’era nulla che facesse star fermi i ragazzi. Adesso, con la Ruota della fortuna insegna la grammatica, la sintassi. Li fa arrivare agli esami.

E poi ci sono le nostre periferie, quelle reali. Quelle abitate dagli ultimi in carne e ossa, non quelle usate per gli slogan Tv, non le figurine immaginarie di un album che viene esposto all’occorrenza per fare audience.

A queste periferie, nel 2017, manca pane, acqua, lavoro, servizi, attenzione. Servono case dignitose, lavoro vero, spazi verde, lotta alla dispersione scolastica.

Le periferie si cambiano con la riqualificazione vera, quella che fa don Rutigliano quando interra i pali delle porte del campetto più in fondo possibile altrimenti se li portano via, o quando pulisce le pareti sporche di sangue e trasforma un luogo di morte in una cappella. Questi sono i veri progetti che riqualificano un territorio. Tutto il resto è bellissimo. Ma viene dopo. Prima servono pane e mattoni.

E poi c’è l’hotspot che il governo farà tra due mesi o giù di lì. Il giornalista Antonio Mazzeo e l’ex ministro Gianpiero D’Alia hanno evidenziato come l’amministrazione comunale sia stata pienamente consapevole dell’iter avviato dal governo nazionale. Anzi, secondo D’Alia ci sarebbe stata una sorta di tacito scambio: “ci date le risorse Masterplan, nonostante siano soldi che ci toccano, e in cambio vi facciamo fare l’hotspot”. Non credo ci sia stato alcun tacito scambio. Penso che chi amministra non può concedersi il lusso, o la superficialità, di prendere lucciole per lanterne. L’ hotspot è l’ultima frontiera di un’Europa che delega all’Italia la parte peggiore dell’accoglienza.

Per non parlare del fatto che un numero così alto di migranti in un quartiere ad alto rischio e degradato potrebbe comportare non solo tensioni sociali ma “alleanze” con la criminalità organizzata nel territorio. L’hotspot potrebbe diventare serbatoio di manodopera e manovalanza per il crimine.

Tremila migranti in un ex caserma nel cuore di un quartiere a rischio.

L’hotspot è un prezzo troppo alto che Messina non deve pagare.

Antonio Mazzeo ricorda come Accorinti nel marzo 2014 annunciava la trasferta a Roma da Alfano per parlare dell’ex caserma di Bisconte con il governo e chiederne la trasformazione contestuale in centro di accoglienza a Palagiustizia.

A luglio però l’ex vicesindaco Signorino confermava che la sede del secondo Palazzo di Giustizia, per la giunta, era diventata l’ospedale militare, strada tuttora seguita.

In pochi mesi quindi la giunta aveva deciso di ipotizzare per l’ex caserma di Bisconte la sola destinazione a centro di accoglienza, tant’è che nell’aprile 2014 l’assessore De Cola fa un sopralluogo insieme ad una delegazione di rappresentanti del ministero della Difesa. Secondo quanto riferisce De Cola a quimessina.it l’area potrebbe essere utilizzata dal Comune di Messina per l’ospitalità ai migranti e la struttura è idonea anche sotto il profilo dei requisiti per la sicurezza. Era la primavera del 2014, tre anni dopo il progetto di convertire l’ex caserma in centro di prima accoglienza diventa dapprima Centro Hub e adesso Hotspot Frontex-Ue per l'identificazione, la detenzione ed eventualmente l'espulsione.

Quel che mi preoccupa non è il passato recente, durante il quale Accorinti e i suoi assessori parlavano con Roma pensando di realizzare un centro di accoglienza e non si rendevano conto d’aver detto sì ad un Hotspot (per quanto l’ubicazione in una caserma qualche dubbio lo doveva far venire). Mi preoccupa l’oggi.

Al di là di sporadiche contestazioni verbali o comunicati stampa non vedo la ben che minima traccia di una mobilitazione reale della giunta contro l’hotspot. Nel tour periodico che il sindaco fa tra le tv nazionali ed i vari comuni del Paese per svariate motivazioni non c’è traccia di una battaglia concreta su questo tema. Non mi pare sia andato a battere i pugni da nessuna parte. Non mi risulta che Accorinti indossi la maglietta NO HOTSPOT, nonostante questo sia una “minaccia” di gran lunga più reale e imminente della realizzazione del Ponte (opera che inoltre avrebbe effetti totalmente opposti per la nostra città rispetto al centro d’identificazione dei migranti).

E poi ci sono i turisti, c’è la Messina del water front, del patto per la falce, la Messina di migliaia di operatori che si sfiancano ogni giorno per “l’altra accoglienza”, quella verso la quale questa amministrazione non ha fatto un solo passo concreto, uno straccio di progetto reale. Così come non ne ha fatti per le periferie.

Alla Rai, alla trasmissione Nemo, Accorinti è stato presentato come il sindaco alieno, il marziano perché “diverso”. E alieno lo è davvero, perché è estraneo in maniera ultrastellare rispetto a Messina. Soltanto un’amministrazione di alieni potrebbe non accorgersi che sta consegnando un pezzo della Messina più fragile ad un progetto che finirà con il distruggerla. Mentre combatte contro un Ponte che non c’è, lascia che le periferie di don Nico restino nude e indifese, mentre combatte contro fantasmi del passato non si accorge che in prima fila sta lasciando, inermi, quanti hanno bisogno di attenzione. Da chi sta alla “frontiera del porto” ad inventarsi come presentare Messina ai turisti a chi sta alla “frontiera dell’accoglienza”, quella dei minori, dei profughi, in una città sempre più povera e degradata.

Rosaria Brancato