Operazione Polena, sono 11 gli indagati finali

Operazione Polena, sono 11 gli indagati finali

Alessandra Serio

Operazione Polena, sono 11 gli indagati finali

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mercoledì 26 Settembre 2018 - 05:30

Al capolinea l'inchiesta sugli affari e gli uomini nuovi del clan di Santa Lucia sopra Contesse, i prestanome nelle attività commerciali e la "manovalanza" nella gestione delle sale gioco.

I carabinieri hanno depositato la loro informativa finale sull’operazione Polena, l’inchiesta sugli affari più recenti e gli uomini nuovi del clan di Santa Lucia sopra Contesse. E letti gli atti, i PM Liliana Todaro e Maria Pellegrino hanno tirato le fila degli accertamenti condotti, cristallizzando le ipotesi di reato finali per tutte le persone coinvolte.

Rispetto alla retata dello scorso 19 luglio, che ha coinvolto 8 persone, il novero degli indagati si allunga e la Direzione distrettuale antimafia ha notificato il provvedimento di chiusura delle indagini preliminari per 11 persone. Insieme a Raimondo Messina e Antonio Cambria Scimone, Angelo Bonasera, Antonio Caliò, Giuseppe Cambria, Tommaso "Masino" Ferro, Lorenzo Guarnera e Alfio "Massimo" Russo, coinvolti nel blitz della scorsa estate, adesso la DDA ha avvisato anche Lilly Cambria, Concetta Terranova e Antonio Chillè, i familiari di Messina e Cambria Scimone ai quali erano formalmente intestati le attività di gestione de Il Veliero e due sale slot. Malgrado fossero titolari delle imprese però, scrivono gli investigatori, erano i due pregiudicati a continuare a tenere saldamente la gestione delle attività.

Sono loro – è questa la conclusione delle indagini – i nuovi reggenti di quella che è una delle più autorevoli famiglie mafiose della zona sud, anche se a dire l’ultima parola su tutti gli affari principali è sempre il capo storico, Giacomo “Giacomino” Spartà. E’ ancora lui il capo indiscusso, malgrado sia al carcere duro da molti anni. Le indagini dei carabinieri sono riusciti a ricostruire i retroscena di parecchie vicende recenti, e ai Cambria Scimone ed a Messina viene riconosciuto il ruolo di affiliati e di reggenti almeno dal 2015.

Tra i tanti affari trattati, il fiorente settore delle sale scommesse e del gioco d’azzardo, ma anche l’usura e il pizzo agli esercizi commerciali della zona sud, che gli investigatori hanno ricostruito grazie alle intercettazioni telefoniche e alle denunce delle vittime. Poi il contributo importante dei pentiti, in particolare di Daniele Santovito, passato alla collaborazione con la giustizia nel 2008 dopo una lunga “militanza” tra i picciotti più attivi del clan di Santa Lucia, anche negli anni “caldi” della guerra di mafia traa metà del decennio scorso.

Raimondo Messina ei Cambria Scimone non si limitava a riscuotere il pizzo e imporre assunzioni, ma condizionava la vita delle imprese, per garantire il buon andamento di quelle proprie. Per eliminare la concorrenza al bar "Il Veliero", ad esempio, un pasticcere che operava nella stessa zona è stato obbligato a interrompere la vendita di bibite e caffè. Un grossista di alimentari non ha più fornito carni ai ristoranti perché disturbava l'attività di macelleria di uno degli indagati.

L'organizzazione gestiva anche le estorsioni ai giocatori, frequentatori di alcune sale gioco cittadine controllate dalla cosca. In un caso alcuni degli indagati hanno costretto il titolare di una sala scommesse a cedere loro la proprietà, a causa delle difficoltà economiche che aveva, pretendendo anche il pagamento di 5mila euro, per una serie di giocate effettuate con denaro "a credito" delle società di scommesse.

Altri giocatori sono stati costretti a pagare i debiti con i gestori delle sale dietro minaccia di ritorsioni e violenza. Gli uomini del clan prima minacciavano apertamente di ritorsione – "ti spezzo le gambe", hanno detto ad una vittima, in una conversazione intercettata" – poi se il malcapitato non pagava facevano leva esplicitamente al rango criminale degli esponenti del clan, per convincerli a pagare.

Una donna, indebitata fino al collo per aver perso al tavolo da poker, ha ripagato una perdita di 6 mla euro con 10 mila euro in contanti, un anello da 6mila euro e un orologio da 4 mila. Un noto gioielliere cittadino, per far fronte a piccoli debiti con i fornitori, ha chiesto un prestito di 4 mila euro e ha dovuto restituire agli usurai 8500 euro in sei mesi, di cui 4.500 a titolo di interessi.

Dopo la notifica del provvedimento da parte della magistratura, la parola passa ora ai difensori, gli avvocati Giuseppe Bonavita, Salvatore Silvestro, Roberto Gagliardi, Alessandro Billè e Antonello Scordo. Hanno qualche settimana di tempo per leggere gli atti, decidere se fare interrogare i propri assistiti o attendere i prossimi passaggi processuali, a cominciare dalla richiesta di rinvio a giudizio.

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