Lo Forte: “Beppe Alfano dava fastidio alla mafia barcellonese, il suo caso rimane ancora aperto”

Il caso Alfano rimane ancora aperto, sappiamo che il giornalista è stato ucciso perché disturbava gli interessi e gli affari della mafia barcellonese, ed era di notevole pericolo. Ma le indagini sono ancora in corso per far luce sugli esecutori materiali del suo omicidio”. Il Procuratore Capo, Guido Lo Forte, commenta così la maxi operazione antimafia che, stamattina, ha chiuso il cerchio su una lunga serie di omicidi avvenuti nel territorio barcellonese tra il 1993 ed il 2012. “Le indagini condotte hanno appurato come la decisione di eliminare materialmente chi alzava la testa, agiva da solo, scavalcava la famiglia – ha detto Lo Forte – fosse prerogativa dei vertici. All’epoca dell’omicidio Alfano, al vertice c’era Giuseppe Gullotti. E’ chiaro dunque che l’uccisione del giornalista rientra nella logica degli omicidi decisi dai capi”.

E’ l’immagine di un’organizzazione totalitaria, fortemente gerarchica che “abbiamo motivo perduri tutt’ora”, capace di intrattenere rapporti criminali con Cosa Nostra palermitana e catanese, nonché con la ‘ndrangheta calabrese. “A parte Palermo ed Agrigento – ha confermato Lo Forte nel corso della conferenza stampa di stamattina – non vi sono altre organizzazioni criminali così ben strutturate. Ed il controllo che la famiglia ha voluto mantenere nel suo territorio è sempre stato totale”.

Controllo della giustizia esterna, controllo di tutte le attività economiche, controllo di attività di usura e racket. “La famiglia del Longano rappresentava un’organizzazione radicata sul territorio, che agiva attraverso rituali di aggressività spaventosa. Le modalità degli omicidi sono sempre le stesse commessi con un’efferatezza molto particolare”, ha commentato Eugenia Pontassuglia della Direzione Nazionale Antimafia. Dall’omicidio Antonino Sboto, prima raggiunto da due colpi di pistola in testa e poi fatto ritrovare con le mani amputate, a quello di Domenico Pelleriti, a cui sarebbe stata concessa un’ultima sigaretta prima di dar il via all’esecuzione, le indagini hanno messo in luce una simbologia mafiosa chiara ed evidente.

“Le persone venivano eliminate solo per aver commesso un piccolo reato, per essere andati fuori dagli schemi e non aver rispettato le autorità gerarchiche”, è stato il commento del Generale Giuseppe Governale, Capo del Ros di Roma. “La provincia Messina – ha continuato – è balzata agli occhi cronaca l’8 gennaio 1993, con l’omicidio Alfano, un giornalista che voleva svolgere suo lavoro, senza censura. Beppe Alfano ha pagato questo con la vita”. Barcellona è stata ricostruita come una terra atipica, “un vero e proprio antistato – ha continuato Governale – dove, se un cittadino subisce un furto, ricorre al padrino per ottenere giustizia, e la ottiene. Esiste un controllo totale mantenuto attraverso intimidazioni ed omicidi eccellenti. Chi alza la testa, deve sapere che pagherà oltre la vita.” (Veronica Crocitti)