Certo che m'arrabbio

Il dolore ci trova soli nell’Universo ma ci lascia con l’Universo in noi

A mio figlio non piace quando nella rubrica domenicale prendo spunti da episodi familiari, ma penso che il compito di un giornalista sia anche quello di “raccontare” la realtà, non soltanto di riportarla asetticamente. Ed oggi voglio raccontare come ho sentito sulla mia pelle di essere parte dell’Universo, nel più “carnale e sensoriale” dei modi.

Quando, il 10 ottobre del 2009, è morta mia sorella Celeste, uccisa da un tumore a soli 40 anni, io, per oltre un anno, non ho vissuto. Nei miei ricordi non c’è traccia dei successivi 12 mesi, non so cosa ho fatto, detto o pensato. Sono rimasta chiusa nel dolore per un anno. Lentamente ho poi compreso che quel dolore non era solo il mio, ma che per un padre e una madre perdere un figlio è molto più che morire.

Quando l’ho compreso sono uscita dai confini in cui mi ero chiusa e ho deciso che avrei espresso con i gesti e con i fatti l’amore e la gratitudine nei confronti della mia famiglia. Credo di esserci riuscita, se non con le parole, perché non sono brava con i baci, gli abbracci e le espressioni verbali di affetto, ma con la mia presenza e i gesti.

Dieci anni dopo quel primo dolore, mi ha lasciato anche mia madre, probabilmente arrivando a quel traguardo che in questo tempo aveva desiderato, riabbracciare sua figlia. E’ morta sabato 18 maggio, all’improvviso, mentre raccoglieva le lenzuola stese. Le avevo dedicato la rubrica domenicale del 12 maggio, quella per le mamme. E’ stato il mio ultimo regalo. Quel dolore mi ha schiantato. E’ come se si fosse spento l’universo, perché nel momento del dolore facciamo coincidere il nostro universo con tutto l’Universo. La vita, l’universo ed anche l’eterno inizia da noi e finisce con noi. Da sabato 18 maggio ho un dolore lancinante allo stomaco, come se tante mani me lo maciullassero. Una cara signora mi ha detto che è il cordone ombelicale che si taglia. Secondo me ha ragione. E’ il cordone ombelicale che, a 52 anni dalla mia nascita, si spezza per lasciarmi andare nella vita da sola.

Forse è questo il dolore che proviamo alla nascita e per questo piangiamo, perché eravamo parte del tutto e con un taglio di forbice veniamo lasciati soli nel mondo.

Dal momento in cui è morta mia madre mi sono sentita come se solo io in tutto il mondo e in tutti i mondi e per tutti i secoli passati e futuri provassi quest’infinito e immenso dolore. Il che è illogico.

Da ragazza ho letto una decina di volte “Il Re Muore” di Eugene Ionesco. Ricopiavo sul diario di scuola interi brani. Mi colpiva la descrizione di quella sensazione che ognuno di noi ha di essere non soltanto il centro del mondo, ma proprio “IL” mondo: “Se la terra si logora e fonde- e succederà- se tutti gli universi scoppiano- e scoppieranno- avvenga domani o tra secoli e secoli, poco importa, ciò che deve finire è già finito (…) La mia morte è sterminata, quanto Universo si spegne in me”(E. Ionesco)

Ognuno di noi vive nella certezza di essere “ il Re” e di avere in sé i confini dell’Universo.

In questa settimana, proprio mentre il mio cordone ombelicale urlava il suo strazio, mi sono resa conto, attraverso decine e decine di messaggi, telefonate e abbracci, che invece il dolore ci rende non sono uguali ma ci rende universo, ci rende parti del tutto. Siamo tantissime cellule di un unico corpo e quando una singola parte si spezza il dolore si espande e raggiunge anche la cellula più lontana. Perché siamo IL mondo e non da separati ma tutti insieme.

Ascoltando i racconti degli altri, leggendo messaggi, accogliendo abbracci e lacrime ho sentito che anche il dolore di 15 o 20 o 30 anni fa è rimasto intatto ed è ancora uguale al mio che è di appena sette giorni fa.

Il loro Universo si era spento ed era anche il mio. E adesso il mio Universo si spegne ed è anche il loro. Quel cordone non unisce me a mia madre, ma me, mia madre al resto dell’umanità. Quel dolore fisico è il percepire il tutto.

Questo vale per il dolore come per l’amore e la vita.

Quando incontriamo gli altri, non possiamo sapere cosa c’è dietro la cornice. Non possiamo conoscere quale rivoluzione umana stiano compiendo, quale sofferenza, quale amarezza, quale cruccio, abbiano nel cuore. Il lavoro, l’amore, la salute, i rimorsi, i sensi di colpa, i sogni infranti, le battaglie, le speranze. Tutto questo fa di un altro il nostro specchio. Dovremmo pensare a questo quando giudichiamo un altro, quando ci litighiamo, quando ci sta profondamente sulle scatole, quando lo offendiamo, lo feriamo, o non lo perdoniamo, gli serbiamo rancore.

Noi nasciamo soli nel dolore ma proprio quel dolore ci dovrebbe far comprendere che siamo una parte del tutto. Una lacrima per noi è una lacrima per gli altri.

Non siamo noi nell’Universo ma è l’Universo in noi.

Se lo comprendiamo non siamo più il Re che muore, ma il Re che vive e che sa amare. “Dietro tutte le cose ci sono io. Soltanto io dappertutto. Sono la terra, sono il cielo, sono il fuoco. Sono in tutti gli specchi oppure sono lo specchio di tutto?”(E.Ionesco).

Non so quanto queste mie parole possano essere di conforto, di aiuto, o essere considerate invece spudorate e invadenti, ma ho voluto raccontare lo stesso quello che ho nel cuore. E anche questa rubrica, mamma Vita, la dedico a te.

Rosaria Brancato