Società

Il selfie-museo e la sovranità della vanità

Stiamo assistendo alla mutazione di un importante luogo di cultura e aggregazione. Si tratta del museo. Una volta si andava al museo per ammirare opere d’arte, muoversi liberamente in uno spazio allestito da critici e curatori che sono anche esperti di storia, arte, archeologia, cinema. Oggi invece sta iniziando ad apparire un po’ ovunque una variazione dell’idea classica di museo, ovvero il selfie-museo.

Cosa è il selfie-museo? È un luogo in cui sono a disposizione del visitatore varie postazioni colorate, sfondi vivaci, gadget divertenti, scenari stravaganti, mini-set fotografici insomma. Nessuna opera d’arte, quindi, ma è lo spettatore stesso che prende il posto di una scultura, di un quadro, di una installazione: basta posizionarsi in uno scenario a scelta, fare una smorfia qualunque, allungare il braccio per inquadrarsi nello schermo dello smartphone e clic, il selfie è pronto per essere postato sui social.

A Dusseldorf, in Germania, c’è già il Cali Dreams, museo temporaneo (tre mesi a partire da ottobre) con 25 set diversi. A Vienna il No Filter Museum è definito “il paradiso dei selfie”, con 24 scenari interattivi diversi. A Denver, Colorado (USA), esiste il Denver Selfie Museum, dove – recita il sito – «se gli altri musei d’arte invitano a non fare fotografie, qua da noi è proprio l’opposto». Ci sono anche il Museum of Selfies di Las Vegas e il Museum of Sweets & Selfies a Budapest, quest’ultimo dedicato ai dolci e ai selfie, in un connubio pop di certo vincente per attrarre giovani adolescenti in cerca di divertimento.

Tributo alla più comune espressione pop della cultura contemporanea post-moderna, il selfie-museo rappresenta anche un espediente per portare le nuove generazioni al museo. «Il numero di giovani che visita musei è drasticamente crollato, quindi stiamo cercando di combattere questo fenomeno usando proprio i social media», ha spiegato Petra Scharinger, co-fondatrice del No Filter Museum di Vienna. E ha aggiunto: «Preferiscono vivere online invece di interagire con il mondo reale. Questo è il museo del futuro».

Difficile capire in che modo un parco giochi colorato e interattivo possa infondere nei più giovani il desiderio di visitare una mostra di arte contemporanea o un allestimento di reperti archeologici. «La gente», ha dichiarato Tommy Honton, uno degli ideatori del Museum of Selfies, «non vuole più consumare silenziosamente l’arte, piuttosto vuole esserne parte. Ci sono più selfie con Gioconda che foto della Gioconda stessa». La soluzione da lui adottata pare essere quella di sbarazzarsi direttamente della Gioconda: ci sarà a quel punto più spazio per fare selfie e ritrarre se stessi e nient’altro che se stessi.

Il selfie-museo è un luogo di divertimento, un moderno parco giochi adeguato alle nuove tecnologie. Non è un museo, a dispetto del nome. Non c’è uscita da se stessi, immersione in un’opera d’arte, distrazione da sé. Al contrario, c’è totale immersione in sé, auto-centramento, vanità. Il filosofo francese Emmanuel Lévinas considerava l’arte (la letteratura, la musica etc.) come «un tentativo di uscire dall’isolamento dell’esistere», perché l’arte comunica qualcosa a qualcuno, mette in contatto due esistenze individuali. Non è questo il caso del selfie-museo, che rimane un luna park colorato, un luogo di frivolezza e esibizionismo, simulazione e finzione. Senz’altro divertente, sia chiaro, ma non chiamatelo museo!