Cronaca

Inchiesta Caronte &Tourist, la società era “la gallina dalle uova d’oro” delle ‘ndrine

La società di traghettamento sullo Stretto era una “gallina dalle uova d’oro” per le ‘ndrine calabresi, in particolare per quelle dell’area tra Villa e Reggio: garantiva assunzioni e facilitazioni per le imprese che operavano nei servizi collegati, dalla biglietteria alla pulizia sulle navi.

Questo hanno raccontato i pentiti calabresi ai magistrati di Reggio Calabria che ieri hanno firmato il decreto di sequestro che pone in amministrazione giudiziaria la Caronte, considerata non direttamente collegata alle ‘ndrine ma infiltrata. A chiedere la misura, il 24 aprile del 2020, sono stati i PM Walter Ignazzitto e Stefano Musolino. Il Tribunale Misure di Prevenzione (presidente Ornella Pastore) ha firmato il provvedimento eseguito ieri ed affidato all’avvocato Fabrizio Sciotto l’amministrazione giudiziaria della società.

Alla base del provvedimento ci sono appunto le dichiarazioni dei pentiti, raccolte dalla DDA tra il 2017 e il 2019, in particolare quelle di Giuseppe Liuzzo e Vincenzo Cristiano. Dichiarazioni incrociate con alcune telefonate e conversazioni dei vertici della società. In particolare quelle dell’ex ad Antonio Repaci, e di Calogero Famiani, finiti nel 2019 nell’inchiesta Cenide, e del dirigente Rosario Donato.

Proprio durante quella inchiesta gli investigatori reggini si accorgono infatti che la CAAP srl, società che effettua i servizi di ristorazione sulle navi, ha ancora rapporti con Caronte malgrado il detentore di un grosso delle quote, Domenico Passalaqua, fosse stato condannato in via definitiva come esponente delle cosche e la società confiscata in via definitiva.

Di più: nel febbraio 2019 gli investigatori intercettano una conversazione tra Vincenzo Franza e Famiani nella quale i due parlano della necessità di dover inglobare la società, e dell’opportunità di garantire la continuità ai lavoratori. Nell’aprile 2019 Franza trova però delle microspie sulla sua automobile e scopre l’indagine che poi sfocerà nell’operazione Cenide. E’ solo a quel punto, scrivono i magistrati, che i rapporti con la CAAP cambiano. Interrogato, Franza spiega che si è limitato ad ereditare la gestione Matacena.

Nel 2019, la Dia di Reggio spiega che “di anno in anno, la navigazione delle navi nello Stretto di Messina è regolata anche in base al servizio di ristorazione a bordo delle stesse. SU 5 navi solo 3 vengono abitualmente utilizzate per i servizi  di navigazione; dunque un anno l’Ancora esegue il servizio di ristorazione su 2 navi, l’anno successivo l’imbarcazione in più sarà appannaggio della CAAP e così via.” Condotta difficilmente spiegabile in un’ottica squisitamente imprenditoriale – spiegano gli inquirenti reggini – e giudicata anti economica dallo stesso Repaci. La società di Passalaqua ha mantenuto la partnership con la Caronte fino al marzo 2020.

Ma per gli inquirenti c’è di più. Ci sono in particolare i rapporti di Repaci con Passalaqua. Per Liuzzo, i rapporti tra le ‘ndrine e i Matacena vengono da lontano. Matacena senior era visto come uomo “serio” dai capi, Matacena jr era considerato meno affidabile. Ma i rapporti con l’uomo dei Matacena, ossia Repaci, sono andati avanti fino a tempi recenti.

Il pentito Rocco Buda dice che Domenico Passalaqua era stato assunto alla Caronte grazie ad Antonio Stracuzza, ex sindaco di Fiumara, che era un pezzo grosso della Caronte occupandosi del controllo delle biglietterie ed era molto vicino ai Matacena. Lo Stracuzza si preoccupava di consegnare a Nino Imerti – capo dell’omonima ‘ndrina, somme di denaro quantificabili in 10 milioni di lire a volta per conto della Caronte.

Vincenzo Cristiano, più recentemente, ha ribadito il concetto della “gallina dalle uova d’oro”, spiegando che ogni famiglia aveva diritto ad una o più assunzione, in “quota” della loro importanza. Soltanto la famiglia Imerti aveva un rapporto diretto, gli altri dovevano passare per gli esponenti politici locali. Come l’ex sindaco La Valle – arresto nel 2016 – che secondo il pentito era il soggetto al quale Repaci si rivolgeva per le assunzioni.

Ancora, Repaci secondo il pentito era protetto dalla cosca di Archi, essendo nato da quelle parti. Tanto che una volta un ragazzo di Archi mandato licenziato dalla Caronte progettava di mettere una bottiglia incendiaria a casa di Repaci, ma la famiglia si è mossa “a protezione” dell’ex dirigente di Caronte ed ha invece ripreso il ragazzo.

Tra Repaci e Passalaqua i rapporti erano tanto stretti, secondo il pentito, che sebbene Passalaqua “doveva andare in sentenza definitiva a Meta, (il processo ndr), si abbracciava nel piazzale con Repaci, e gli ha fatto un turno ad hoc per metterlo alle biglietterie”.

In effetti nel 2016 – spiegano gli inquirenti – Passalaqua viene scarcerato e comincia a cercare al telefono Repaci. Che ne parla con Famiani, raccontando che l’uomo vuole essere riassunto. “Se è un suo diritto per forza, se è una opportunità beh…deve decidere lei.”, gli risponde Famiani.

I pentiti raccontano poi un altro particolare: i dipendenti della Caronte vengono pagati anche se non vanno a lavoro perché arrestati. In un’altra telefonata tra Repaci e Famiani, i due parlano sempre di Passalaqua: gli viene revocata la libertà vigilata e non può andare a lavoro, ma a maggio andrà in pensione. Si adoperano perciò perché continui a prendere “qualcosa da casa”.

“Mi sono ritrovato il bigliettaio latitante, avevamo provato a licenziarlo diverse volte”, è la versione di Vincenzo Franza all’interrogatorio di garanzia.