Esami facili all’Università: eseguite dalla DIA sei ordinanze cautelari. Ai domiciliari un docente

Il verminaio torna prepotentemente d’attualità. Quindici anni fa il termine era stato utilizzato per descrivere il malaffare che si era infiltrato nei gangli vitali dell’Università di Messina, erodendola come un male incurabile. Sono trascorsi tre lustri e diverse inchieste giudiziarie e si torna a parlare di infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese nell’Ateneo peloritano, di compravendita di esami, di irregolarità nei test d’ammissione alle facoltà a numero chiuso, di minacce ai docenti e di studenti disposti a tutto per garantirsi la laurea. Un anno di indagini ha portato stamani gli uomini della DIA ad arrestare quattro persone nell’ambito dell’inchiesta che ha squarciato nuovamente il velo di legalità che l’Università di Messina tenta ogni volta faticosamente di ricomporre. Ai domiciliari sono finiti il docente di demografia dell’Università di Messina. Marcello Caratozzolo, 47 anni e l’ex consigliere provinciale Dino Galati Rando, 57 anni, già titolare di alcuni istituti scolastici privati. In carcere è stato rinchiuso, invece, Domenico Antonio Montagnese, 50 anni, di Fabrizia in provincia di Vibo Valentia. L’uomo, ritenuto esponente della ‘ndrina locale, sarebbe la mente dell’organizzazione, il motore attorno al quale girava l’intero gruppo. Gli arrestati devono rispondere di associazione per delinquere aggravata finalizzata alla corruzione, al traffico illecito di influenze, al millantato credito, voto di scambio e molti altri reati contro la pubblica amministrazione. Nel calderone sono finiti anche una giovane avvocatessa messinese ed il fratello. Sono state sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I due avrebbero contribuito a condizionare alcuni test di ammissione alla Facoltà di Medicina in cambio di somme di denaro che poi dividevano con Montagnese. Nella “Campus” però sono indagate anche decine di persone. Si tratta per lo più di docenti e studenti universitari. Le loro posizioni sono ancora al vaglio della magistratura. La clamorosa inchiesta ha avuto avvio nel luglio dell’anno scorso proprio alla vigilia dei test di ammissione alla facoltà di Medicina. Intercettando Montagnese, già indagato nell’operazione Panta rei, gli investigatori sono venuti a capo del sistema di compravendita di esami. Parlando al telefono con una persona di fiducia l’uomo spiegava che il suo gruppo era in grado di condizionare non solo gli esami universitari ma anche test d’ammissione alle facoltà a numero chiuso, esami di abilitazione professionale, in particolare quelli per dottore commercialista, valutazioni per l’assegnazione di titoli. Per convincere i docenti, spiegava Montagnese al suo interlocutore, venivano seguiti due sistemi: quello politico e quello mafioso. Il primo era il più semplice e prevedeva l’intervento del professor Caratozzolo. Il docente, grazie alle sue conoscenze all’interno dell’Ateneo, contattava i colleghi ed in cambio di piccole regalie li convinceva a promuovere determinati candidati che ne avevano fatto richiesta. Questi ultimi poi pagavano a Montagnese cifre che si aggiravano intorno a 4000 euro. Se i docenti opponevano resistenza entravano in ballo esponenti delle ‘ndrine calabresi che avvicinavano i professori e li minacciavano. E con il sistema delle intimidazioni quasi sempre riuscivano nel loro intento. Ma c’era poi il ricchissimo filone dei test di ammissione nelle facoltà a numero chiuso. La più gettonata naturalmente era quella di Medicina e Chirurgia. Tantissimi i candidati,pochi i posti disponibili e le possibilità di farcela. A meno che non ricercassero strade alternative. La più innovativa e tecnologica è quella che prevede l’impiego di microchip. Era la stessa organizzazione che forniva al candidato il microchip. Un complice all’esterno si attrezzava con un pc, ricercava le risposte ai test e le comunicava al candidato. Questo sistema, che ha funzionato, era però anche il più caro. Per superare i test d’ammissione con questo metodo bisognava sborsare una cifra fra i 30 ed i 50.000 euro. Fra gli arrestati l’ex consigliere provinciale Dino Galati Rando, già titolare di alcune scuole private e nell’ottobre scorso candidato alle elezioni regionali. L’ex esponente di Grande Sud,indagato per voto di scambio, avrebbe chiesto ed ottenuto preferenze alle regionali in cambio della promozione di studenti che frequentavano i suoi istituti. Infine Salvatore D’Arrigo, 59 anni, arrestato nell’operazione con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. E’ una vicenda venuta a galla nel corso delle intercettazioni telefoniche che non ha nulla a che vedere con il mondo dell’Università. D’Arrigo avrebbe contattato e minacciato due orafi messinesi che si erano trasferiti a Desenzano del Garda perché impossibilitati a restituire somme di denaro che Montagnese aveva loro prestato con interessi del 50% mensili. Il prestito era lievitato e gli orafi non ce l’avevano più fatta ad onorare il debito ed erano fuggiti in Lombardia dove D’Arrigo li aveva rintracciati.