Le parole non sono più pietre, sono nuvole. Hanno perso il loro “peso specifico”

Mi accorgo che non riusciamo più a dare un senso alle parole. Con il passare degli anni le parole hanno perso il loro senso, sono diventate talmente leggere da perdere ogni legame, ogni contatto, con quel che rappresentano. Abbiamo perso il valore delle parole. I primi tempi magari, di fronte ad un discorso intollerabile, a frasi irripetibili, a parole che feriscono, c’indignavamo, poi, man mano che gli anni passavano ci siamo abituati a tutto. Con il passare del tempo infatti abbiamo scoperto che si può dire tutto e il contrario di tutto nell’arco della stessa ora, che si può dire una cosa e rimangiarsela, modificarla, negarne il senso nello stesso istante in cui la si è detta. Così non facciamo più caso al “peso specifico delle parole”.

Nella settimana appena conclusa ad esempio Berlusconi ha detto: “i miei figli si sentono perseguitati come gli ebrei durante il regime di Hitler”. E’ una frase talmente assurda talmente inascoltabile, un paragone talmente al di fuori della storia, della logica, dell’umanità da essere indifendibile, è davvero troppo grossa. Non esiste nulla di talmente distante, una distanza abissale, tra gli ebrei massacrati, annientati da Hitler e i figli di Berlusconi. Si sono levate voci di protesta, c’è stata un po’ di polemica, qualcuno lo ha anche difeso. Tra tutti Brunetta con questa frase illuminante: “Stabilire un paragone tra il dolore dei propri figli e la persecuzione degli ebrei non è la banalizzazione di una tragedia ma la dimostrazione di un sentimento di condivisione che anima Berlusconi nei confronti di questo popolo. Del resto è stato educato a considerarsi spiritualmente ebreo”. Cosa voglia dire “considerarsi spiritualmente ebreo” lo sa solo il capogruppo del Pdl, ma anche in questo caso, basta mettere a casaccio delle parole, una dietro l’altra, dal bel suono, per fare la propria parte nel palcoscenico della leggerezza. Il problema non è neanche più il fatto di esserci abituati all’insostenibile leggerezza dell’essere delle parole. Tra una settimana, se non già oggi o domani, ci sarà una sparata ancora più grossa di qualsiasi altro personaggio che ci farà dimenticare questa. Magari Guido Barilla dopo aver detto “Mai uno spot per famiglie gay, se a qualcuno non va mangi altra pasta”, potrebbe decidere che i Pan di stelle saranno vietati agli anarchici, le Macine ai diversamente abili, gli Abbracci agli immigrati. Il problema non è neanche più il fatto di dimenticare subito l’assurdità delle parole. Sconforta invece pensare che Berlusconi, ma come lui tutti gli altri che ne hanno dette di simili e di peggio, ha pronunciato quelle parole semplicemente assemblandole, una accanto all’altra, perché qualsiasi cosa uno dica, vola via, tanto poi può chiedere scusa, può rimangiarsela. La dimentichiamo, ci siamo abituati. Avanti un altro. Poco tempo fa il vicepresidente del Senato Calderoli ha detto “quando vedo il ministro Kyenge non posso non pensare che ha le sembianze di un Orango”, e nel caso del leghista è soltanto l’ennesima di una lunga serie di offese. Il vero problema è che le parole sono diventate talmente leggere che nessuno fa più caso al significato. Sono diventate nuvole. Un miliardario che per vent’anni ha monopolizzato la scena politica con i suoi guai, i suoi vizi, le sue virtù, che vorrebbe cambiare la Costituzione e se potesse anche la Bibbia a suo uso e consumo, al quale il popolo-elettore ha consentito quel che in nessun altro Paese sarebbe stato concesso ad un governante, si permette di paragonare i suoi pargoli miliardari che guidano le sue aziende in una terra democratica e libera dove chiunque si può alzare e dire quello che vuole,agli ebrei sterminati e noi non ci facciamo neanche più caso. Tanto, l’ha detto Silvio. Tra l’altro serve anche a fare pubblicità all’ultimo libro di Vespa. Le parole hanno perso “peso”. Siamo diventati verbalmente anoressici. A proposito di anoressia, non mi è piaciuto il comportamento della ministra Cancellieri nella vicenda Ligresti. Se ci limitiamo alle parole, quando la Guardasigilli dice al telefono a proposito di Giulia Ligresti “Non è giusto, non è giusto”, quale senso dà al termine “giusto”? Me lo sono chiesto. Cosa non è giusto? Non è giusto che uno dei tre figli dell’imprenditore sia latitante e lei, da ministro della Giustizia diceva non è giusto e stava invitando l’amico a convincere il figlio a presentarsi in Tribunale per rispondere dei suoi reati? Voleva dire che non è giusto che le carceri siano affollate di gente che soffre e muore senza avere nessun amico, questo sì “giusto” , nel senso più clientelare o familistico del termine? In tutta la vicenda io non riesco a dare alla frase “non è giusto” lo stesso senso che gli ha dato la ministra. Non trovo sia eticamente giusto, per quanto non sia reato, che il figlio della ministra per un anno di lavoro alla direzione generale della Fonsai dei Ligresti abbia incassato una liquidazione da 3 milioni di euro. Voi direte ma che c’entra con la telefonata? C’entra, c’entra. Eccome. Perché quel “non è giusto” assume un altro sapore, ha un altro retroterra se lo unisci a quell’incarico. Se segui le radici della frase arrivi anche a quei 3 milioni e mezzo di euro. Quelle parole “Non è giusto”, hanno un papà ed una mamma, nonni e zii e nella famiglia di quelle parole c’è anche quell’incarico. Queste riflessioni mi hanno fatto ricordare Nanni Moretti in Palombella Rossa, quando alla giornalista che lo intervista lui, visibilmente irritato al punto che la schiaffeggia dice: “ma come parla, come parla? Le parole sono importanti”.

Ecco, le parole oggi non sono più importanti.

Le parole hanno perso il loro peso specifico, sono come i palloncini che metti in mano ai bambini e all’improvviso volano via e stiamo tutti con il naso all’insù per vederli allontanarsi in cielo come puntini colorati. Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi, invece oggi anche le parole più pesanti, che lapidano una persona, milioni di persone, le parole scagliate in faccia con la violenza peggiore, una volta dette diventano palloncini colorati. E nessuno ci pensa più. Dietro le parole non c’è più un pensiero, un perché, un’idea, un’opinione, un progetto. C’è il vuoto.

Le parole non sono più pietre, sono nuvole.

Rosaria Brancato