Germanà chiama in causa Crocetta e Borsellino: “Il Margherita va riqualificato”

Ancora nessuna certezza sul già precario destino dell’ex Ospedale Regina Margeherita. Concepito come polo di eccellenza, la mastodontica struttura di 14.000 mq, giace ora in un vergognoso stato di declino al quale nessuna istituzione sembra ad oggi interessata a porre rimedio.

Sicuramente, quando nell’aprile 1930 il re Vittorio Emanuele decise di commissionarne la progettazione dello stabile all’ingegneere Bianco, sborsando un’ingente somma (almeno per allora) corrispondete all’incirca a tre milioni delle vecchie lire, non aveva in mente cancellate divelte, mattonelle sberciate, fanghiglia e incuria ovunque, macchinari inutilizzati e sprovvisti di adeguata manutenzione, intonaci pericolanti e pavimenti fatiscenti. Ma probabilmente, dalle entusiastiche previsioni dell’attento monarca, era anche esclusa l’ipotesi che il destino della neonata opera dovesse scontrarsi con le impasse imposte da una gestione sconsiderata e noncurante, con una paralisi gestionale degna di un disinteresse amministrativo che ora suscita un’indignazione generale.

Sinora si è abbozzato dinanzi al progressivo disfacimento di questa storica struttura. Si è tollerato l’aberrante trasformazione di un nosocomio in una selvaggia terra di nessuno, preda dell’inconsulto agire di vandali, prezioso albero della cuccagna di saccheggiatori di mobili e suppellettili di qualunque genere. Si è lasciato correre sulla lenta trasformazione di un edificio di cura in una spelonca ammuffita e pericolante. Il re avrebbe certo scosso la testa e detto che questa non era cosa buona.

Eppure lo spirito di reinvenzione non è certo mancato alla città. Chiuso l’ospedale, il comune buonsenso ha suggerito che la struttura potesse essere in un certo senso “riciclata”, adibita ad un uso diverso ma pur sempre mantenuta in vita per trarne almeno quel residuo di utilità che le rimaneva. E’ stato così partorito il progetto di riconversione della sede in struttura riabilitativa che avrebbe dovuto offrire, attraverso un’operazione di project financing, ben 182 posti letto per “codici bianchi”. Un’operazione che avrebbe svuotato in breve tempo il pronto soccorso garantendo una maggiore efficienza funzionale anche della struttura ospedaliera centrale. Nel 2006 il piano sembra quasi essere divenuto realtà. Finchè la sempreverde grmigna del disinteresse, non si abbarbica attorno al progetto, dichiarandone la definitiva messa nel dimenticatoio con un decreto assessoriale del 2010.

Ma Messina non cede, così come le istituzioni sembrano intenzionate ad abbandonare al collasso il vecchio ospedale, con altrettanta convinzione vengono avanzate nuove proposte e soluzioni in grado di ottimizzare quel che resta del Regina Margherita. Il 30 aprile 2011, viene approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana, l’ordine del giorno che prevede la riconversione dello stabile in “Cittadella della Cultura”. Vengono avviati gli studi di fattibilità che danno esito positivo e finalmente si intravede la possibilità di regalare nuova vita a un edificio di valore storico che sta per appassire inesorabilmente. Piuttosto appetitosa anche l’opportunità di sgravare le casse locali dalla sbalorditiva spesa di oltre 700 mila euro, impiegati per affittare le sedi della Sovrintendenza ai Beni Culturali e della Biblioteca Regionale, sparse nel territorio. Nell’agosto 2011 l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Arnao invia una nota al collega con delega alla salute, Massimo Russo – che aveva paventato nel 2010 la messa in vendita dell’edificio – con cui rende noto che il Governo della Regione è stato impegnato ad avviare un’indagine conoscitiva sui motivi del degrado dell’ex ospedale e a promuovere la realizzazione della nuova “Cittadella”.

Ma ancora una volta silenzio. Un silenzio assordante che ha provocato oggi l’interrogazione da parte del deputato messinese all’Ars, Nino Germanà, nei confronti del Presidente della Regione e dell’Assessore alla Sanità. La richiesta è che si prenda finalmente in fattiva considerazione il piano di riabilitazione dello stabile che configurerebbe indubbiamente un quadro migliore di quello attuale: maggiore economicità nella dislocazione delle sedi amministrative e, contemporaneamente, azzeramento di una spesa illogica, del tutto incoerente con le linee direttrici fatte valere dal Patto di stabilità. (Sara Faraci)