Nino Frassica: «Il messinese? Aperto e colto, ma anche disfattista»

Innanzitutto, a nome mio e dei lettori, devo farle tanti auguri. L’11 Dicembre era il suo compleanno. Lo stesso giorno di Gianni Morandi, lo sapeva?

«Lo sapevo. Infatti ci facciamo sempre gli auguri e quando ci incontriamo ci chiamiamo sempre “Sagittario, Sagittario!”».

Martedì 17 e Mercoledì 18 Dicembre la vedremo in onda su Rai Uno in “Casa e bottega”, una miniserie in cui coprotagonista con lei è Renato Pozzetto. Di cosa si tratta?

«È un dramma con momenti di commedia. Racconta una storia vera, autentica, con tutti i risvolti che comporta la crisi economica, ma, quando io Renato siamo insieme, facciamo anche ridere e dentro c’è anche un tocco di giallo».

A fine Gennaio torna una delle più longeve e seguite serie della televisione italiana, Don Matteo. Ma si preannuncia una vera e propria “rivoluzione”: il set non è più a Gubbio, bensì a Spoleto, la storia è andata nel frattempo avanti di alcuni anni, e il Maresciallo Cecchini è addirittura nonno…

«Sì, il personaggio, infatti, è cresciuto con me. Ho iniziato che ero maritino, poi sono diventato padre, poi suocero perché mia figlia si sposava col Capitano, ora, in Don Matteo 9, nonno».

Passiamo alla radio, dove lei, da diversi anni, conduce un’apprezzata trasmissione insieme a Simone Cristicchi, “Menomale che c’è Radio 2” . È molto legato a questo mezzo?

«Sì, la trasmissione è ogni sabato e, sotto le feste, faremo alcune puntate speciali. La radio è la cosa che non vorrei mai abbandonare, quella a cui tengo di più. È un appuntamento che non vorrei perdere, perché al cinema o in TV devo sempre stare attento a cosa dire e a non strafare, nella radio invece posso esagerare quanto mi pare e piace, perché è varietà, è umorismo. Sono anche autore del programma, quindi posso sperimentare e inventare».

Anche perché lei ha iniziato la sua carriera proprio in radio, qui a Messina…

«Non mi sembrava vero. Io tentavo di avvicinarmi a livello regionale alle radio “ufficiali”, ma era un sistema chiuso, facevano entrare sempre gli stessi. Invece, con le radio private, mi si è aperto il mondo perché si potevano provare cose nuove, è stata una fortuna. Così anche l’avvento delle televisioni private, come la Rtp, dove ho potuto sperimentare tutte le gag che ho poi ripreso entrato in Rai».

Restiamo nella sua città. Ha dichiarato che sarebbe bello recitare in una serie a Messina…

«Eh, magari!»

Ma con quale soggetto?

«Qualsiasi. In Don Matteo noi, per esempio, raccontiamo la città di provincia, e la provincia non cambia, sempre quella è. Avremmo tante belle zone da fare vedere, sarebbe una fortuna. Però, a quanto pare, è molto difficile: tutte le volte che ho cercato di dirottare il set qui non ci sono riuscito».

Cosa le manca di Messina?

«Mi manca tutto e non mi manca niente. In realtà, in una città come Roma c’è tutto. Indubbiamente, ho una certa nostalgia, mi mancano le abitudini. Ma non è che ci sono delle cose speciali che non ci sono altrove, è Messina stessa che è speciale».

Cos’ha di buono un messinese?

«Il messinese nuovo è moderno, è cittadino, è aperto. Ha una mentalità marina, ha fantasia. Ed è colto. Aspetto, quest’ultimo, che riguarda molti meridionali, perché, non trovando lavoro, la gente, fin quando può, studia. A differenza di quando ero giovane io».

E un suo difetto?

«È disfattista. Ma non solo il messinese, questo problema riguarda tutte le città. C’è una zona, un gruppo di persone, quelle mediocri, che non sanno fare niente e vanno a cercare gli errori degli altri, senza proporre alternative. Sono quelli che più detesto: non fanno niente, stanno in disparte e criticano».

Potrebbe darci un suo giudizio sul nuovo sindaco di Messina, Accorinti? Lei abita a Roma, ma quali notizie ha captato?

«Mi arrivano gli echi. Tutto quello che mi arriva è positivo, mi arrivano segnali, per cui ho capito, anche a distanza, che ci crede e perciò mi aspetto cose buone».

Nel salutarla le chiedo: vuole lasciare un augurio a chi ci legge?

«Certo. Buon Natale, Santo Stefano, Capodanno, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33!»

(CLAUDIO STAITI)

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