Se davanti al castello della Principessa c’è la targa con la scritta: casa del rospo

Ci sono due date che in questi giorni mi hanno dato da pensare, due avvenimenti distanti l’uno dall’altro 60 anni, 1955-2015: la Conferenza di Messina e la “gravidanza” (perché ancora non è nata) dell’Autorità della Calabria e dello Stretto.

A distanza di 60 anni è scomparsa la parola Messina. Non è un dettaglio sul quale sorvolare. Non sono una storica, ma se non erro è da “assai assai assai tempo” che lo Stretto di Messina si chiama Stretto di Messina e non semplicemente “Stretto” oppure “Stretto di Messina e Reggio Calabria”.

Le cose non accadono mai per caso e la scomparsa della parola Messina ha una valenza simbolica ed è frutto di un percorso di “invisibilità” in atto da tempo. Abbiamo totalmente perso “peso specifico”, la nostra classe dirigente passerà alla storia (anzi non ci passerà) per l’insostenibile leggerezza dell’essere (meglio, del non essere). Proviamo a costruire un ponte ideale tra il 1955 e il 2015. La Conferenza di Messina segnò i primi vagiti dell’Europa Unita, grazie al messinese Gaetano Martino, che era Ministro degli Esteri, quindi il nostro peso specifico era tra quelli “massimi”. Nel 1955 Messina divenne l’epicentro di un momento storico. Adesso, 60 anni dopo, e dopo una lunga serie di smantellamenti la riforma delle Authority finirebbe con il comportare un accorpamento assai strano. Se facciamo il paragone con il “matrimonio vecchio stampo”, il capofamiglia è quello che “porta i soldi a casa”, tiene i cordoni della borsa e dà il cognome alla moglie. Tra Gioia Tauro (porto in cattivissime acque e senza risorse) e Messina (che viaggia con il vento in poppa e con l’Autorità portuale che è l’unico Ente che in città incassa e vola alto) il “marito” dovrebbe essere Messina, anche alla luce di dati relativi alla popolazione, alla realtà geografica, strategica, politica. Invece accade l’esatto contrario. Pur ammettendo che, per motivi politici, la presidenza debba necessariamente andare a Gioia Tauro (sebbene mi sfugga la ratio), non si capisce perché di Messina sparisca sia il nome che le capacità decisionali e venga relegata al ruolo di “moglie” anni ’50, con lo strofinaccio in una mano e il mestolo nell’altro. Ricapitolando: Messina porta in dote uno scrigno pieno di soldi, una bellezza da far paura, un cervello di primo piano, una capacità organizzativa non indifferente, grandi sogni e grandi progetti e viene relegata nello sgabuzzino? Neanche le pari opportunità vengono concesse? Per fare la spesa deve attendere la firma del marito? Dal matrimonio tra una principessa e un rospo viene fuori la targa da mettere sulla porta del castello: Autorità portuale della Calabria e dello Stretto (come dire “casa del rospo”)? E da quando lo Stretto non è più di Messina? Ci siamo distratti mentre lo cancellavano col bianchetto dalla cartina geografica? Quando parliamo di area integrata dello Stretto non pensavamo di sparire come identità, dignità, orgoglio.

L’Ars sta lavorando ad una riforma degli Enti locali che comporterà tagli alle indennità e al numero di consiglieri e assessori. Nella tabella in esame si stabilisce che la soglia tra la fascia media e quella alta è di 250 mila abitanti. In tal modo, poiché abbiamo poco più di 240 mila abitanti siamo finiti insieme alle “medie”, mentre al piano di sopra svettano Palermo e Catania. Nella nostra fascia, insieme a Siracusa, c’è anche Enna in virtù di un asterisco che l’ha promossa sul campo appunto nella fascia media. In base alla tabella noi dovremmo avere 6 assessori rispetto agli attuali 8. La dirimpettaia Reggio Calabria ne ha 9. Come si può pensare di amministrare Messina con soli 6 assessori? Faccio un appello: #iovogliolasterisco. Presentate un emendamento, Messina merita l’asterisco per far parte della prima fascia. Dobbiamo stare con Catania e Palermo. Ci stanno riducendo ad un villaggio, ad una periferia e siamo noi stessi a volerlo, con la nostra indolenza, con l’abitudine a farci male da soli. Chi ci ha amministrato non è stato ambizioso per Messina. Lo è stato per sé stesso, per la sua carriera, per quella di amici e parenti, ma non per la sua città. Stiamo diventando ININFLUENTI. Il guaio è che ci azzanniamo tra di noi. Se qualcuno presenta una proposta oppure, FA QUALCOSA è considerato reato. Il peccato mortale dalle nostre parti è il verbo fare. Se qualcuno “fa” gli altri lo azzannano. Se il nostro vicino pianta una specie rara di gardenie che al mattino cantano l’inno di Mameli, invece di chiedergli i semi o aiutarlo, noi gli versiamo l’acido muriatico sui fiori a notte fonda. Non sappiamo fare squadra, non guardiamo le soluzioni ma chi le presenta. Il nostro punto di vista è il migliore e non accetta alternative.

Nei giorni scorsi è successo un episodio che ha valenza simbolica del nostro modo di essere. Il IV quartiere, in occasione della finale di Champions tra Juventus e Barcellona, ha organizzato, come in tutto il resto d’Italia, l’allestimento di un maxischermo nell’arena Cicciò, al Palacultura. Un modo per stare insieme, vivere lo sport come momento di aggregazione e per far sì che uno spazio destinato alla comunità resti vivo e non si trasformi nell’ennesima vergogna. Il presidente della circoscrizione Francesco Palano Quero è stato però costretto ad annullare l’evento per le polemiche scatenate sui social da parte di alcuni tifosi che, dichiarandosi “a lutto” per la retrocessione in D del Messina, contestavano. Lo sport è “portatore sano” di messaggi positivi, non si può polemizzare su un evento che avrebbe portato intere famiglie a trascorrere una serata serena, un’occasione per essere comunità, fare festa (poi il maxischermo lo ha allestito il Rettore all’Unime). Una passione non può spingere ad impedire ad altri di essere ugualmente comunità. Una polemica che comporta la sospensione di un momento di svago e non di un cannone puntato sul Duomo, è il tipico esempio di quel modo di pensare che ha portato lentamente alla “scomparsa” del nome Messina dalla nuova Authority. O io o nessuno.

Non riusciamo a guardare oltre il nostro naso. Stiamo sempre a puntare il dito sugli altri. C’ è un aspetto della telenovela della fusione Piemonte-Neurolesi che mi preoccupa. Il ddl deve essere riempito di contenuti, votato in Aula e poi si dovrà procedere con i protocolli e le direttive assessoriali. Al momento c’è l’impegno dell’assessore Borsellino e dei deputati Formica e Picciolo in merito al mantenimento del Pronto soccorso e dell’emergenza-urgenza. Eppure si è creato un clima in base al quale tutti gli altri stanno all’erta in attesa del fallimento, per poter poi dire: ve l’avevo detto io. C’è una sorta di diffidenza preventiva che sorvola sull’esistenza di un piano di riordino della rete ospedaliera già fissato e in merito al quale si può solo combattere per salvare il più possibile. Ancora il bambino non è nato e in tanti non vedono l’ora che nasca nero, brutto e antipatico per poter dire l’avevo detto io che la mamma è una poco di buono e il papà è un imbecille che si è fatto prendere per il naso (decidano i lettori chi tra i protagonisti è il papà e chi la mamma e chi il vero padre). A me se vincono i Guelfi o i Ghibellini poco importa, quel che secondo me dovrebbe interessare a tutti è che vinca Messina, perché quando due leoni si sbranano c’è sempre il terzo che ride a crepapelle ed è quello che porta a casa il risultato. Ci vuole un attimo perché il Piemonte faccia la fine del Margherita. E passeremo i prossimi 10 anni a gridare allo scippo e al dare la colpa agli altri.

Ho letto un post su Facebook di Maurizio Munaò che riportava un brano del libro di “Voi non siete qui” di Guglielmo Pispisai: “Messina non esiste. Irriconoscibile ai suoi stessi abitanti, perché priva di connotazioni vitali. Messina è un luogo senza memoria, come chi lo vive. Siamo qui, ma non guardiamo qui. Da ragazzo con gli amici consideravamo la città una stazione di transito dove si attende prima di andare da un’altra parte (…) Sulle mappe dei radi pannelli per turisti buttati a casaccio in centro, accanto al circoletto rosso che indica la posizione, la scritta dovrebbe essere “VOI NON SIETE QUI”. Noi non siamo qui. E anche se ci siamo, la testa è altrove”.

Ecco perché penso che la scomparsa del nome Messina subito dopo la parola Stretto ha una valenza simbolica, siamo come i titoli di coda dei film che nessuno guarda. Ma io voglio essere qui, ora, e sono ambiziosa per la mia Messina. Ecco perché, se mai qualcuno mi sente, voglio rinnovare l’appello #vogliolostrettodimessina e #vogliolasterisco. E come dicono gli amici del #ferribotte non si tocca: #iovogliotutto.

Rosaria Brancato