Sogno una città a misura di famiglia, che abbia un orologio per il tempo delle persone

L’8 marzo, in occasione di un incontro promosso dal Movimento cristiano lavoratori alla Feltrinelli,mi fu chiesto se a mio giudizio Messina sia una “città a misura di donna”. La domanda mi ha portato ad una serie di riflessioni che non riguardano solo la nostra città né solo la donna. Messina infatti non è una città a “misura di famiglia”, non lo è per responsabilità ataviche,e non lo è perché in generale oggi si tende ad annullare “il tempo per la famiglia”, il tempo per i valori. Voglio fare una premessa: il mio concetto di famiglia non è quello tradizionale,quello della grotta di Nazareth,ma è quello figlio dei tempi. Per me famiglia è “famiglia del cuore”, un nucleo saldato da legami talmente profondi da non avere a che fare con l’anagrafe e talmente forti da resistere alle distanze e agli ostacoli. Quindi i componenti della famiglia del cuore possono essere una coppia tradizionale, una coppia di fatto, una coppia omosessuale,divorziati,famiglie allargate, figli adottivi e naturali, famiglie estese a nonni, zie, nipoti, compagni vecchi e nuovi di vita, insomma non solo “quella roba” che ha a che fare con i documenti, ma quella che dipende dal cammino di ognuno di noi,dal momento in cui andiamo carponi fino a quando siamo costretti ad appoggiare il braccio a quello di un altro per sederci su una panchina. Abbiamo orologi che hanno finito con il non riconoscere più il tempo della famiglia e città, compresa la nostra, che non sono a misura di famiglia. Non è solo un problema di donne. Non sto parlando degli asili nido, che pure non considero un “problema per sole donne”. Se non cambiamo approccio finiremo per non risolverlo mai. Messina e altre realtà analoghe hanno risolto il problema della carenza di asili nido con i nonni o le strutture private (con cifre supersalate). Non voglio soffermarmi più di tanto su questo aspetto, perché l’orologio del tempo della famiglia ha tante altre ore e i bambini,da cuccioli, diventano grandi e le città a misura anche delle altre fasce di età non sono tante. E’ una questione di approccio. Intanto i servizi pubblici. Supponiamo che tu abbia risolto brillantemente la fase A (asilo nido), c’è poi quel girone infernale degli orari da far coincidere tra uffici–casa-famiglia-scuola. Metti che dopo che ti sei “svenato” i cuccioli siano arrivati al traguardo delle elementari. Pochissime scuole (tranne le private,quindi a pagamento) hanno orari che vanno incontro alle esigenze di normali famiglie che lavorano e devono far conciliare ufficio con inizio e fine lezioni. Un servizio di trasporto pubblico inefficiente o carente ti costringe a cavartela da solo, e quindi a sottrarre tempo al quotidiano che poi, automaticamente, si ripercuote con quel “tempo della famiglia”, inteso come “stare insieme e condividere il tempo” che si assottiglia sempre di più. Stesso discorso vale per le mense scolastiche e per gli impianti sportivi. In una città a misura di famiglia servono strutture sportive decentrate, facilmente agibili per tutti (compresi gli adulti), facilmente raggiungibili, con una gestione e manutenzione costante e adeguata. Se non puoi portare il figlio in piscina (a meno che non stressi la nonna o hai la tata per farlo), l’oratorio sotto casa non va più di moda come un tempo e al posto dei cortili ci sono i garage, smetti persino di cercare l’alternativa. La pista ciclabile poi non è consigliabile né per grandi né per piccini, sarà un fatto di costume o che i messinesi sono duri da cambiare, ma non è salutare utilizzarla. Ogni tanto vedo coraggiosi atleti correre lungo i marciapiedi. A loro va tutto il mio più grande apprezzamento e la mia solidarietà. Ma è evidente che fare slalom tra escrementi di cani, auto posteggiate pure sopra gli alberi e salto in alto per non precipitare nelle voragini che tappezzano le strade e i marciapiedi non è la corretta definizione di città a misura di famiglia. Non mi soffermo sullo stato delle aiuole, perché sono il nostro più “illuminante” biglietto da visita. Quando mio figlio era piccolo ero costretta ad andare a Rometta per portarlo in una villa attrezzata per i bambini. Non basta recintare una zona verde per chiamarla “villa” e non basta neanche metterci quattro giochi se poi non sai che devi evitare di lasciare la terra che diventa fanghiglia o la polvere finisce pure nei polmoni. La villa deve funzionare, l’acqua nelle vasche deve esserci,il prato deve essere curato. Villa Dante, per fare un esempio, è un’occasione sprecata. Ci sono diverse mini strutture sportive in stato di abbandono e 4 campi da bocce DESERTI. Molti anni fa nel cuore della Villa c’era un centro per anziani, dove si riunivano per giocare a carte e spesso ballavano. Il campo di bocce non costa nulla per la manutenzione e non è detto che debba servire solo per gli anziani, così come gli altri mini-impianti. La Villa ormai viene usata ormai solo come “strada di transito”. Ci sono le moderne compostiere domestiche per un progetto dell’Ato3 di raccolta differenziata che in altre città avrebbero fatto successo, ma dalle nostre parti no. C’è il Parco ornitologico curato dall’associazione ornitologica di Messina che è disponibile a visite guidate anche con le scuole ma che a scadenza periodica diventa obiettivo di raid vandalici. C’è l’arena, un tempo teatro di eventi di ogni genere e l’edificio polivalente inutilizzato. Villa Dante è nel cuore della città, ma se non la rendi viva e non la metti a disposizione delle famiglie, del tempo delle persone, quello che ognuno di noi dedica alla “vita”, resta un monumento alla desolazione. Prendi l’isola pedonale. Siamo riusciti a trasformare in guerra una cosa naturale come il trascorrere delle stagioni. L’isola pedonale è lo strumento per godere del tempo della famiglia. Non è una strada chiusa al traffico,è un’isola intesa come spazio per sé stessi, per quella parte che mette una parentesi tra l’ufficio, il lavoro, il denaro, i problemi,il caos. Il tempo della persona è quando l’orologio si ferma e non guardi più le lancette perché si muovono nell’anima.

Una città a misura di famiglia la riconosci anche dagli eventi e iniziative sul piano culturale e artistico. Non parlo né solo di Mozart, né della cena in pizzeria. Non parlo della Notte della cultura e di quelle bellissime file davanti al Museo o alla Chiese, rimaste solo un piacevole ricordo, ma di iniziative che potrebbero benissimo tenersi alle 15 del pomeriggio e avere successo. A Palermo riescono a organizzare eventi persino per guardare l’eclissi o il passaggio di una cometa. Qui se hai un’idea te la stroncano sul nascere. Intanto perché non c’è un luogo fisico, anzi luoghi fisici,e poi perché si lascia sulle spalle del privato, l’onere, di superare le “barriere architettoniche della follia burocratica” e non solo. A volte ho la certezza che neanche i nipoti che avrò un giorno potranno godere del lungomare della Fiera, il più grande tesoro che Messina ha (insieme alla zona falcata), ma vittima, inspiegabilmente della “messinesite” che è la paura di volare alto o, peggio, che sia il tuo odiato vicino a volare più in alto di te. Il comandante De Simone lotta contro i mulini a vento per un bando internazionale che vede tra i contrari quelli che preferiscono che la Fiera resti quella delle bancarelle estive. Sulla zona falcata non è il caso di aggiungere nulla. Avevo 20 anni quando ho sentito parlare per la prima volta del centro studi al posto dell’inceneritore. A volte poi mi chiedo come si possa pensare di far convivere la via don Blasco con la vocazione turistica della zona falcata. Se dite che volete qualcosa che sia una via di mezzo tra Disneyland, Rimini e i Giardini di Boboli come pensate di far conciliare la via don Blasco,quindi i tir, con le famiglie dirette al museo piuttosto che a visitare la Lanterna o a godersi la costa? Ci sono comuni piccolissimi che organizzano mercatini di Natale e feste di “San-qualsiasi-cosa”,che s’inventano sagre, scoprono tradizioni millenarie persino con i folletti e hanno calendari da non farti stare a casa in pantofole neanche per sbaglio. L’ultima nota la riservo ai servizi sociali. Se l’assistenza agli anziani non è all’altezza è sempre la famiglia che deve sopperire e si assottiglia quel tempo che, sempre la famiglia, può dedicare allo stare insieme anche con il nonno in questione. Perché è una catena e ogni ora che utilizzi per sopperire al servizio pubblico la devi recuperare per il tuo lavoro e finirai con il ridurre il tempo per i valori.

La malattia del secolo è la velocità,quel vortice che fa dimenticare valori che invece non corrono e non si trasformano perché hanno già raggiunto il traguardo. So che questo discorso apparentemente non ha nulla a che vedere con il Piano di riequilibrio, la differenziata o Metromare, ma ogni minuto in più che perdiamo perché qualcosa non funziona,perché un servizio non viene reso, o per sopperire a qualcosa che manca,è un minuto che non tornerà più e che avremo sprecato. Mai creduto nella Famiglia felice del Mulino bianco,anche se metterei la firma per trovare una mattina Antonio Banderas in cucina, ma le famiglie normali, che combattono con gli orari, i soldi che non bastano mai, la precarietà, sono l’unica vera isola felice, l’unico approdo che non s’insabbia e che anche quando s’insabbia si rimboccano le maniche, l’unico spazio nel quale,basta davvero poco, per trasformare la realtà. Basta un pallone,un libro, un giro di valzer, un cagnolino da portare a spasso, basta un luogo, un evento, uno spazio. Basta donargli tempo.

Rosaria Brancato