Certo che m'arrabbio

L’Autonomia al “Lombardo-Veneto” e la lamentela alla Sicilia. Chi è causa del suo mal…

E’ ormai solo questione di tempo e la Lega porterà a casa l’ok per l’autonomia differenziata per il “Lombardo-Veneto” ed anche la rossa Emilia Romagna farà parte del “pacchetto”.

Nonostante l’iter sia avviato da tempo e ci siano stati referendum con tanto di plebiscito a favore dell’autonomia, i politici meridionali si sono accorti solo adesso che il percorso è al traguardo e gridano alla secessione dei ricchi e ai Robin Hood al contrario.

Soprattutto i siciliani, che l’autonomia ce l’hanno dal ’46, gridano alla fine dell’Unità. Abituati come siamo a lamentarci contestiamo al Nord il voler attuare quelle autonomie che noi, pur avendole, non abbiamo usato. Abituati alla lamentela ed all’assistenzialismo ci sentiamo già più poveri e defraudati.

La “triplice” (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) chiede dalle 16 alle 23 competenze e funzioni da decentrare, che vanno dall’istruzione all’ambiente, al trasporto, al credito. Chiedono che le maggiori entrate fiscali che hanno restino nel loro territorio. Veneto, Lombardia ed Emilia, che producono da sole il 40% del Pil del Paese, versano allo Stato più di quanto ricevono in termini di servizi ed investimenti. Con l’autonomia differenziata il cosiddetto residuo fiscale resterebbe lì dove c’è stato il maggior gettito e andrebbe a migliorare i servizi.

E’ comprensibile che altre Regioni del sud a statuto ordinario, come la Campania, si siano irritate. Il governatore Vincenzo De Luca ha tuonato “se qualcuno pensa che il residuo fiscale debba rimanere al nord ed i servizi sociali debbano essere rapportati alla ricchezza dei singoli territori, prefigura una società che va verso l’imbarbarimento” ed ha formalizzato richiesta di autonomia per la Campania.

Ma non capisco perché noi siciliani gridiamo all’oltraggio.

Siamo stati noi ad ispirare la Lombardia. L’ex presidente della Regione Lombardia, il leghista Roberto Maroni, sin dal 2014 dichiarava: “Propongo di accordare alle Regioni del Nord lo statuto speciale della Regione Siciliana che non è stato mai attuato. Lo statuto disegnava una Regione che fa da sé, vive dei propri redditi, ed è responsabile dell’organizzazione del territorio, delle strutture, della scuola, dell’industria. Avrebbe dovuto tenersi tutte le tasse pagate sul proprio territorio, e se non ha redditi sufficienti a garantire un livello di vita pari alla media nazionale dovrebbe intervenire lo Stato con un fondo di solidarietà che finanzia gli investimenti, non le false pensioni di invalidità. Lo Statuto è stato tradito perché la Sicilia ha rinunciato all’autonomia finanziaria per l’assistenzialismo

Maroni fotografava una realtà.

Ma invece che fare la corsa su noi stessi la facciamo sugli altri.

Per dirla con Coelho avevamo un tesoro sotto il sicomoro del giardino, ci abbiamo gettato sopra una lastra di cemento e ora strepitiamo perché il nostro vicino di casa invece di asfaltare l’orto sta investendo quel tesoro.

Lo Statuto speciale è stato approvato il 15 maggio del ’46, persino prima del Referendum che il 2 giugno ha sancito la nascita della Repubblica. E’ parte integrante della Costituzione ed ha una natura “pattizia” a riprova di un rapporto, per così dire “alla pari”. E’ un tesoro piantato sotto il sicomoro con il sacrificio di tanti, con le tensioni ideali, con il sangue, i sogni, la rabbia.

Quello che oggi chiede la Lombardia noi ce l’abbiamo lì, nero su bianco.

Art.36 : al fabbisogno della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo dei tributi deliberati dalla Regione.

Art.37: alle imprese industriali e commerciali che hanno sede centrale fuori dalla Regione ma che in Sicilia hanno stabilimenti e impianti viene determinata la quota di imposta che compete alla Regione.

Art. 38 fissa un contributo di solidarietà nazionale per le opere pubbliche.

Art. 22 attribuisce alla Regione il diritto di partecipare con un suo rappresentante nominato dal governo regionale alla formazione delle tariffe ferroviarie e alla istituzione e regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti.

Mi spiegate di cosa ci lamentiamo 73 anni dopo?

Prendiamo ad esempio le royalties che compagnie petrolifere pagano alla Regione Siciliana. Per decenni la tassazione è stata di appena il 7% (sugli utili), percentuale bassissima contro aliquote fino all’80% di altri Paesi. Solo dal 2013 in poi siamo arrivati al 20%. Non godiamo di alcun beneficio sui carburanti ed il sistema di esenzioni consente facili “raggiri”, ma dati alla mano contribuiamo in modo consistente alla produzione nazionale di petrolio (nel 2017 per il 17,8%)

La fiscalità di vantaggio e l’art.37 dello Statuto sono rimasti lettera morta, per non parlare della norma che prevede che il presidente della Regione Siciliana partecipi alle sedute del Consiglio di Ministri, col rango di Ministro ogni qualvolta ci sono tematiche che interessano la nostra terra. E’ mai successo? Dov’erano i nostri presidenti quando si decideva il prelievo forzoso? O la riforma dei porti?

Milioni di euro lasciano la Sicilia insieme ai pendolari della salute, ai figli migranti, agli insegnanti, arricchendo il nord perché l’isola l’assistenzialismo ha reso sterile la nostra terra.

Il governatore della Lombardia Fontana ha dichiarato: “Se mi dite che servono milioni per avviare 75 mila start up in Sicilia io ci sto, ma se devono servire per assumere 75 mila forestali dico no”.

Maroni e Fontana, purtroppo, hanno ragione: abbiamo barattato l’autonomia in cambio dell’assistenzialismo.

Adesso di cosa ci lamentiamo? Forse è questa l’unica occasione per fare quello che non abbiamo fatto in 73 anni: applicare lo Statuto.

Rosaria Brancato