Caro Renato, nella litoranea nord siamo vittime della musica assordante. Fai rispettare i nostri diritti

Caro Renato,

so bene che sei impegnato in faccende difficili da districare e che fin troppi sono pronti a criticarti, come direbbe Totò, “a prescindere”.

Eppure, sento il bisogno ci comunicarti un senso di intima tristezza, a partire da una fatto certamente di secondaria importanza. Nella zona in cui abito (litoranea nord) è ormai impossibile, dopo una certa ora, dormire, riposare, leggere, chiacchierare, a causa dell’enorme portata di decibel provenienti dai locali che occupano quel pezzo di costa, un tempo bella e pubblica, ora devastata e privatizzata. Gli abitanti del luogo hanno cercato ogni tipo di soluzione possibile: dall’accomodamento amichevole, alle chiamate alla polizia municipale, agli esposti nelle apposite sedi istituzionali. Ovviamente, non hanno ricevuto nessuna risposta.

Secondo gli studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e quelli del nostro Istituto Superiore di Sanità, le notti insonni e lo stordimento da “ipersuoni” provocano malattie gravi e impediscono inoltre di lavorare decentemente il giorno dopo.

Io non voglio però denunciare nessuno né richiamarmi a un minimo di senso civico che immagino sparito in eterno. Se ti scrivo è perché tu ti sei presentato alle elezioni come portatore dei diritti calpestati e del rispetto delle regole. Hai cambiato idea, o non sai o non puoi o non vuoi farle rispettare? C’è chi (ti puoi informare al tuo assessorato all’annona) non ha la licenza per trasmettere musica e c’è chi, invece in regola sotto questo profilo, supera di gran lunga i limiti sonori consentiti. Il singolo cittadino nulla può e le istituzioni perdono credibilità, purtroppo anche in campi più seri e importanti, e con essa la perde la massima autorità, cioè il sindaco.

Sia ben chiaro: ho rinunciato a ogni tipo di denuncia o esposto o protesta di qualunque genere e ogni gestore, quanto a me, potrà tranquillamente fare quello che vuole. Inoltre anch’io amo ballare e perciò sono contento che le persone si possano divertire danzando. È cosa buona e giusta. Desidero che continuino a farlo. Mi piacerebbe solo che abbassassero il volume. Se non lo vogliono fare, amen: siano felici e benedetti.

Quello che lascia l’amaro nel profondo dell’anima è la fine di ogni forma di empatia, della capacità di pensare che altri possano soffrire per quello che stai facendo e che sarebbe possibile continuare a fare in maniera più civile. È per questo che invito te e l’assessore Cacciola a venire una sera (che insieme possiamo concordare) a casa mia. Vi offrirò la cena, un bicchierino e comode sedie per ascoltare fino alle 3 l’amena musica che dalla battigia si riflette dolcemente sul mio balcone. Ci terrei molto, quanto meno per capire fin dove possano spingersi il tasso di anaffettività e la mancanza di empatia verso chi a qualunque titolo soffre, non solo in Tibet (o in tutte la sventurate parti del mondo in cui, come ben sai, ho operato e opero): e anche questa è cosa buona e giusta.

Se verrete sarete i benvenuti. Se declinerete l’invito, tutto resterà come prima e ce ne faremo una ragione. Pur diventati sordi, continueremo a vivere come zombies durante il giorno, aspettando il refrigerio sonoro della notte, che ci permetterà di meditare e costruirci una filosofia zen come nei monti e nelle valli del nostro amato Tibet, che purtroppo invece dovrà farne a meno.

Un abbraccio.

Giovanni Raffaele