La nuova valutazione della qualità della vita trova un moderno parametro per il quale essere felici è una forma di benessere che i Padri Fondatori degli USA conoscevano come diritto sin dalla Dichiarazione di Indipendenza (1776); così alla Harvard University i corsi in cui si insegna ad essere felici ( e soprattutto a rendere più felici gli altri) sono tra i più seguiti e i libri che promettono felicità si moltiplicano (basti consultare la voce apposita in Amazon) con risultati più o meno convincenti. L’Università di Messina ci tenterà, se lo scetticismo di fronte al nuovo sarà superato e se il numero dei partecipanti lo consentirà, con un master di II livello (cioè per una gamma di lauree magistrali o quinquennali).
Il master denominato Happiness at work si presenta con un forte taglio interdisciplinare per convincere, soprattutto saper far convincenti i partecipanti, che essere felici rende: al lavoratore ( per combattere il distress), al datore di lavoro (creando un clima più umano e quindi più produttivo), al lavoratore in ambienti clinici (conferendo alla malattia approcci che rendono più forti) per il sanitario e per il malato, in ambienti educativi ( per gestire e riconoscere le emozioni soprattutto nelle fasi di ricerca dell’identità) e in generale per crescere la resilienza ovvero quella forza della mente che rende più consapevoli, compassionevoli e con difese più mature.
Non si tratta di vendere fumo come probabilmente i pessimisti potrebbero sottolineare e neppure di tessere l’aria come quelle visioni esistenzialistiche che riducono tutto a vanità; si argomenterà più propriamente l’insegnamento di metodiche atte a dimostrare che, come sottolinea Shawn Achor, “prima della felicità e del successo c’è la percezione del mondo. Quindi , prima di poter essere felici e di raggiungere il successo, dobbiamo creare una realtà positiva che ci permetta di vedere la possibilità che si realizzino entrambi”.
Non si occorre allora di proporre nuove pratiche psicoterapeutiche ( anche se quest’ultimi potrebbero indubbiamente giovarsene) ricordando che lo stesso Freud S., a fronte di una paziente al termine della cura contestava di non essere felice, riaffermava che non è compito della psicoanalisi il raggiungimento dello stato di felicità; più favorevolmente di integrare opposti e quindi sostituire il motto delfico “conosci te stesso” con “sii te stesso”; è una pratica di paziente, talvolta silente, ricerca che trae forza e giovamento dall’entusiasmo e, perché no, del silenzio che il profondo offre a meno che non si scelga di ridurre la mente ad un insieme di bit scollegati in certe circostanze come nel sonno o nella follia.
Ritornando alla progettazione del Master dell’Università di Messina, occorre brevemente dire che cosa si fa: lezioni frontali, osservazioni scientifiche atte a prevenire e ridurre il distress ( stress patologico), piccoli angoli riservati alla filosofia della felicità, presa di coscienza dei vantaggi economici, ecc.; 60 CFU in un anno di corso ( anche con metodiche didattiche moderne di e learning) per pervenire ad un arricchimento di curriculum che fa la differenza ( e quindi possibilità lavorative), uno spirito che lontano dalle “americanate” provenienti dall’oceano atlantico non disdegna la cultura di paesi lontani che hanno posto, come in oriente, il giusto dosaggio delle emozioni .
Quanto alla modernità si desidera solo ricordare che sempre più ricorriamo nelle comunicazioni sociali alle cosiddette emoticon che prevedono polarità opposte per esprime parole non sempre possibili: la felicità è quella che ci introduce alle emoticon del gradimento, della cortesia, della cordialità che ricerche, tra l’altro oggetto di studio del master , si traducono in benessere del corpo e della mente.
E’ significativo che anche la letteratura scientifica si sia arricchita sia di ricerche specifiche sia di nuove testate ( una della quali è Journal of Happiness Research).
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