Ciacci rompe il silenzio ma nega gli atti anche alla giunta. E spunta un precedente del 2007

«Le motivazioni che hanno reso necessario l’interruzione del rapporto di lavoro con l’ingegnere Cucè sono ricondotte a gravi mancanze nei suoi ruoli di Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione dei Lavoratori e di Direttore Tecnico, da atti e fatti tali da compromettere la fiducia nello stesso da parte del sottoscritto, Datore di Lavoro». La firma in calce è quella del Liquidatore di Messinambiente Alessio Ciacci che, a due settimane dal licenziamento in tronco dell’unico dirigente rimasto in via Dogali, rompe il silenzio con una nota inviata al Sindaco Renato Accorinti, al Segretario generale Antonio Le Donne, all’assessore Daniele Ialacqua e alla Presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile. Un documento di due pagine in cui però non ci sono tutti i chiarimenti dettagliati che per esempio nei giorni scorsi aveva richiesto la presidente Barrile, né tantomeno la documentazione legata al drastico provvedimento preso nei confronti dell’ex direttore tecnico Cucè, richiesto sia dalla numero uno del civico consesso che dall’assessore Daniele Ialacqua. Il Comune, socio praticamente unico di Messinambiente, non ha infatti ancora avuto formalmente gli atti sul licenziamento Cucè, anche se la questione sta inevitabilmente tenendo sul filo del rasoio l’amministrazione Accorinti che fin da subito non ha nascosto sorpresa e un pizzico di timore per un provvedimento così pesante e che a quanto pare non era stato precedentemente concordato. Ialacqua prova a gettare acqua sul fuoco e punta a segnare una linea di confine tra l’azione politica e quella gestionale, affidata con la massima fiducia nelle mani di Ciacci. Pesa però come un macigno la nota prodotta dai Revisori dei Conti all’indomani del licenziamento che, pur non citando mai Messinambiente, mette in guarda l’amministrazione dai debiti che possono produrre le azioni amministrative messe in atto dagli amministratori/liquidatori delle partecipate e che intima maggiori controlli. I Revisori in pratica hanno posto la lente d’ingrandimento su modelli gestionali e scelte amministrative che sembrano ignorare il fatto che Messinambiente sia una società in liquidazione. E pesano ancor di più le parole dello stesso Cucè che subito dopo il licenziamento ha annunciato di essere pronto a rivolgersi all’Autorità giudiziaria per far valere le sue ragioni.

A Palazzo Zanca sono giorni di consultazioni e valutazioni sul da farsi, il Sindaco Accorinti ha chiaramente detto che si sta cercando la soluzione più consona, al momento non si esclude nessuna ipotesi, neanche un eventuale passo indietro sul licenziamento.

Nel frattempo è arrivata la prima nota ufficiale del liquidatore Ciacci che fornisce una serie di informazioni sul provvedimento adottato due settimane fa, spiegazioni che però non entrano nel merito specifico della questione e non forniscono quei dettagli necessari ad avere un quadro completo della situazione. Ciacci scrive che «il licenziamento effettuato trova giustificatezza nella perdita del rapporto fiduciario con il dirigente e il suo fondamento nella documentazione in possesso della società» e non teme neanche il contenzioso quasi certo che, scrive, «è stato valutato anche grazie ad un autorevolissimo parere legale e dopo un’attenta valutazione dei costi e benefici dell’operazione, compiendo una scelta che, seppur dolorosa, porterà benefici per la città e per l’azienda». Secondo Ciacci il provvedimento adottato si fonda su circostanze prudenti e pienamente fondate, ma il numero uno di Messinambiente non intende andare oltre queste spiegazioni e rispedisce al mittente (anzi ai mittenti) la richiesta di accesso agli atti relativi al caso Cucè, motivando questa presa di posizione con la “natura sensibile” dei documenti sul licenziamento. A sostegno della sua tesi cita una serie di normative che regolano il diritto di accesso a dati che riguardano la vita privata, la riservatezza di persone fisiche o dati sensibili e giudiziari. E aggiunge di ritenere «inopportuno che la documentazione venga portata a conoscenza di terzi o resa pubblica in quanto Messinambiente dovrà farne il debito utilizzo in sede giudiziaria, stanche la divulgazione dei documenti potrebbe pregiudicare gli interessi di Messinambiente dal punto di vista procedurale in sede giudiziaria».

Ciacci non ha dunque intenzione di retrocedere di un passo. Adesso bisognerà vedere se queste spiegazioni saranno sufficienti a chi a Palazzo Zanca sta provando a far chiarezza su un caso che rischia di avere pesanti conseguenze, anche finanziarie. La presidente Emilia Barrile è già intenzionata a chiedere la convocazione di Ciacci in commissione per consiliare per poter avere un faccia a faccia diretto con il liquidatore, probabilmente anche i Revisori dei Conti incalzeranno l’amministrazione ad avere maggiore contezza di quanto è accaduto in via Dogali. Di certo stranisce che il Comune, socio per oltre il 99% di Messinambiente, non possa avere accesso ad atti così importanti.

Eppure, dando uno sguardo al passato, esiste un precedente che potrebbe aiutare nelle valutazioni sul caso. Era il 10 novembre 2007, Messinambiente non era ancora stata posta in liquidazione e dunque c’erano un Cda e un collegio sindacale che decisero l’interruzione del rapporto di lavoro e il licenziamento per giusta causa dell’allora Dirigente Amministrativo, Finanza e Controllo, Ufficio del Personale e Responsabile dei Servizi Generali, dei Sistemi Informativi, delle Assicurazioni e degli affari Legali. Era stato assunto nel 2001 e, quando nel luglio 2007 il Cda che era presieduto da Nino Dalmazio decise di rivedere ed esaminare le situazioni contrattuali di due dirigenti, venne decretato il licenziamento di uno dei due per giusta causa. Alla base del provvedimento c’era una contestazione disciplinare in cui si contestava che il Dirigente in questione disconosceva i poteri del Direttore Generale, non aveva dato attuazione a delle disposizione di legge omettendo di portare a conoscenza gli organi societari di tali disposizioni, aveva usato espressioni irriguardose nei confronti del Direttore Generale, aveva criticato la politica aziendale e non aveva esibito al Direttore Generale ed al Cda altra documentazione che veniva richiesta. Alcuni mesi dopo, esattamente il 31 luglio 2008, quel dirigente fece notificare un atto di citazione contro il Cda di Messinambiente, il Collegio Sindacale e il Direttore generale. Un contenzioso inevitabile che però sfociò in una transazione dopo la sospensione del primo grado di giudizio. E così nel 2010, a tacitazione delle maggiori pretese che aveva avanzato in sede giudiziaria il dirigente che aveva un costo annuale di 130 mila euro per l’azienda, gli fu riconosciuta la somma totale di 151 mila euro per chiudere la partita, di cui 41 mila a titolo di saldo del Tfr e 110 mila come risarcimento per danno biologico alla salute.

Un licenziamento che dunque costò 110 mila euro di risarcimento danni e che si è trascinata per circa tre anni, tra avvocati e aule di tribunale. Cosa accadrà oggi resta invece ancora con il punto interrogativo.

Francesca Stornante