Cultura e spettacoli

“L’ombra di Caravaggio” con Scamarcio e Ramazzotti: il film di Michele Placido

Recensione di Nunzio Bombaci al film “L’ombra di Caravaggio”, regia di Michele Placido, nelle sale dal 03/11, prodotto da Federica Luna Vincenti, distribuito da 01 Distribution, 120 minuti.

Scamarcio convincente e si apprezzano scenografie ed effetti di luce

Forse, il film diretto da Michele Placido non sarà tra le opere cinematografiche su Caravaggio più resilienti alla prova del tempo. L’opera si apprezza, più che per il tenore della sceneggiatura, per la cura delle scenografie e per la suggestione arrecata dagli effetti di luce, che non potevano certo mancare in un film dedicato all’artista che ha “trattato” la luce come nessun altro prima e dopo di lui. E, si può aggiungere, neppure nel suo stesso secolo, ovvero quel Seicento che annovera tra i suoi pittori Rubens, Georges de la Tour, van der Meer, Zurbarán, Velázquez nonché il tardo El Greco.
Nel film, lo stesso regista interpreta l’ambiguo cardinale dal Monte, tra i protettori di Caravaggio. Nel ruolo dell’artista maledetto, Michele Scamarcio risulta abbastanza convincente: è trascorso anche per lui il tempo di recitare la parte riservata all’“attor giovane”.
Tra gli altri interpreti, si segnalano in particolare Isabelle Huppert – sempre più esile, nel ruolo dell’iperprotettiva marchesa Costanza Sforza Colonna – e Brenno Placido, alias Ranuccio Comassoni. Si tratta di un delinquente ucciso da Caravaggio durante una rissa. La prostituta Lena, amante e modella dell’artista è interpretata da Micaela Ramazzotti.

Roma del Seicento tra prostitute e diseredati

Lo spettatore è indotto a constatare come, in quel secolo “sudicio e sfarzoso”, proprio le prostitute costituissero il principale elemento di connessione (una liaison dangereuse, anzi) in una città ubiquitariamente lussuriosa e, al contempo, nettamente dicotomica sul piano sociologico: la Roma dei privilegiati e quella dei diseredati. Di questi ultimi, i primi non si curano se non per punirne esemplarmente le intemperanze. La pellicola non aggiunge molto all’immaginario relativo alla Roma del primo Seicento. Se paragonata alle coeve grandi città europee, essa è poco di un grosso borgo ove tutto è permesso, purché sia compiuto in modo da non provocare scandalo.
Nel plot escogitato dagli autori, l’artista – condannato alla pena capitale per l’uccisione di Ranuccio – è in attesa della risposta di papa Paolo V (Maurizio Donadoni) all’istanza di grazia. Per poter decidere, il Pontefice affida a un inquisitore (l’Ombra) un’indagine accurata sulla vita e sulle convinzioni religiose del protagonista. Il ruolo è affidato all’attore francese Louis Garrel, il cui volto imperturbabile esprime la spietatezza consona al compito assegnato al personaggio. Eppure, alla fine anch’egli resterà turbato dall’arte e dalla personalità del pittore.

Un “Caravaggio” da vedere anche se troppo simile alle fiction

Il film, girato prevalentemente a Napoli, presenta alcuni episodi dei periodi trascorsi dall’artista – transfuga per destino – nella città partenopea, a Roma e Malta. La tragica fine di Michelangelo Merisi, tuttora oggetto di varie ipotesi, viene rappresentata in modo molto fantasioso, da feuilleton di altri tempi.
Nel complesso, si riscontra nel film un tono agiografico e po’ manicheo, tale da scindere i personaggi tra i “buoni” e i “cattivi”: rispettivamente i fautori e i nemici di Caravaggio. L’artista si rivela qui ben consapevole della propria scelta di campo in favore dei poveri, che privilegia nelle tele come nelle tormentatissime relazioni. Nel dialogo finale con l’Ombra, egli si esprime come un intellettuale, in quanto è capace di rendere perfettamente ragione delle proprie scelte, e persino dei propri vizi. L’artista non potrà compiere la rinuncia richiestagli dal Sant’Uffizio: non può scegliere se non accattoni, meretrici e delinquenti quali modelli dei propri quadri. Nel distanziarsi dall’ultimo manierismo, egli dipinge il vero, e per lui nessuno è veridico come il povero.

Ma ammiriamo anche il “nostro” Caravaggio al MuMe


Gli scostamenti fantasiosi rispetto a quanto è ormai assodato nella biografia di Caravaggio e gli anacronismi rendono la pellicola simile alle fiction televisive piuttosto che alle opere cinematografiche di alto rango. Tuttavia, il film va visto, senz’altro. E, dopo, è di prammatica una visita al Museo cittadino per (ri-)ammirare le due tele caravaggesche che vi sono custodite, da annoverare tra i gioielli che Messina non si è lasciata rubare: la Resurrezione di Lazzaro (ove si scorge uno dei non pochi autoritratti dell’artista) e l’Adorazione dei Pastori, realizzate proprio in riva allo Stretto tra il 1608 e il 1609.

Nunzio Bombaci