E il boss da dietro le sbarre minaccio’ il giudice

Attimi di tensione al processo Supermercato, in corso davanti al Tribunale di Messina in primo grado. Alla sbarra Giovanni Trovato, quasi sessantenne, elemento di vertice del più potente clan di Messina, quello del quartiere- fortino di Mangialupi, alle spalle del carcere di Gazzi. All’udienza finale del processo, Trovato ha seguito la discussione dell’accusa da dietro le sbarre. A chiedere per lui una pensante condanna era il pm della Dda Giuseppe Verzera, che ha coordinato quasi tutte le inchieste sui più recenti affari del clan, dallo sviluppo della potenza economica dei Trovato grazie allo spaccio di droga alle estorsioni, passando per le “intemperanze” di Giovanni Trovato, che deve l’ultimo arresto alle minacce a chi stava gestendo il patrimonio sequestratogli. “Dottore Verzera, mi sta dicendo qui il mio collega di cella che lei quando andava all’università andava in motoscafo”, ha tuonato il boss da dietro le sbarre. In dialetto biascicato, ma il senso era quello. Il presidente della Corte, il giudice Grasso, lo ha redarguito immediatamente ed il processo è andato avanti, concludendosi con una pesante condanna per Trovato. Condannati anche i coimputati. Restano agli atti le parole di Trovato, che sono suonate come una minaccia al magistrato. Il giudice Verzera, infatti, possedeva effettivamente un motoscafo, negli anni di università, che rimetteva nella spiaggia antistante la sua abitazione. Il messaggio del boss, perciò, è suonato come un “so dove abiti” pericolosissimo. Non è la prima volta, purtroppo, che gli imputati di processi per gravi reati muovano pensanti minacce all’indirizzo dei magistrati.