Il carabiniere armiere dei barcellonesi respinge le accuse del pentito D’Amico

“Non ne so nulla delle armi, non sono uomo di Cosa Nostra. La droga sequestrata a mio figlio, invece, era mia, lui non c’entra affatto”. E’ questa grosso modo la versione del carabiniere Francesco Anania, arrestato due giorni fa dopo il ritrovamento, nei pressi della sua abitazione, di una vera e propria armeria del clan di Barcellona. Il deposito di armi è stato indicato dal boss neo pentito Carmelo D’Amico, ex capo dell’ala militare del gruppo.

Il militare è stato interrogato dal gip Anna Adamo ed ha respinto l’accusa mossa dal collaboratore, auto accusandosi invece della detenzione dei 200 grammi di cocaina e i 300 di marjuana sequestrati al figlio ventiduenne Cristian, bloccato poi scarcerato subito dopo essere stato sentito dal giudice. Della detenzione dell’arsenale, invece, é accusato anche il nipote Felice Anania. Per lui e per il carabiniere il giudice Adamo si è riservata la decisione sull’istanza di scarcerazione avanzata dai difensori.

In contrada Bastione i carabinieri del Reparto operativo intanto continuano a scavare: gia’ ritrovati pistole, fucili, mitragliette, centinaia di munizioni, polvere da sparo.

Gli investigatori dal canto loro proseguono a tamburo battente ad ascoltate D’Amico e verificare le sue dichiarazioni. Al vaglio i presunti fedelissimi del boss e le attività economiche a lui riconducibili. D’Amico aveva parecchie attività in “gestione diretta” proprio a Milazzo, dove controllava anche una buona fette delle estorsioni.