Io non ce l’ho con la Tares, è lei che ce l’ha con noi. Qualcuno chiami Robin Hood

Non ho mai provato simpatia per l’Imu, ho avuto qualche diverbio con il bollo auto, mi irrita il canone Rai, ho rapporti semi-cordiali con l’Amam, convivo senza litigare con le bollette della luce ormai da decenni. Ma se c’è un’imposta che detesto è la TARES, mi ha fatto persino rimpiangere la defunta Tarsu, nonostante mi costasse liti memorabili con mio marito perché la pagava tutta in una rata mentre io avrei preferito dividere la somma. Lui però, a ragione, mi faceva notare che il sistema di rateizzazione della Tarsu era stato elaborato per farne una trappola per gli utenti. Per calcolare le scadenze successive alla prima rata ed evitare di pagare la mora dovevi infatti usare il calendario Maya, integrarci le idi di marzo e saltare nel conteggio le domeniche con le eclissi di luna. Nonostante io “mummuriassi” quindi la Tarsu l’abbiamo pagata sempre in un’unica soluzione. Invece di premiare un simile comportamento eroico, considerata l’inesistenza del servizio di raccolta e smaltimento, siamo stati puniti con la Tares. Sia chiaro, io non ce l’ho con la Tares. E’ lei che ce l’ha con me e con i cittadini di uno sventurato Paese che non riesce a far pagare ai ricchi (ed evasori) e svuota solo le tasche dei poveri. Quando il postino ha bussato alla mia porta consegnandomi il bollettino da 442 euro di Tares ho pensato che fosse Satana che metteva alla prova la mia soglia di tolleranza e spiritualità. Ebbene sì, 442 euro e vi giuro che non sono una “zozzona”, mi ritengo una produttrice di rifiuti nella media nazionale. Chiusa la porta mi sono sentita come i protagonisti del cartone Disney di Robin Hood, gli animali che popolavano il villaggio di Nottingham ridotti alla fame dalle tasse del re. La differenza è che non ci sono Robin Hood e Little John che attraversano la foresta di Sherwood cantando “Urca urca tirulleru oggi splende il sol” dopo aver fatto giustizia.

Non ce l’ho con la Tares, è lei che ha dichiarato guerra a noi. Se non ci sta simpatica ci sarà pure un motivo. Secondo me ci sono quasi 45 milioni di motivi.

Il fatto è che a Messina non c’è alcun collegamento logico tra il costo, 45 milioni di euro l’anno, ed il servizio. Lo spirito della norma è far coprire interamente il costo del servizio agli utenti, senza trasferimenti statali. Questo significa, per esempio, che se in passato il costo poteva lievitare “tanto chi se ne frega sono soldi pubblici”, e quindi ci davano dentro con assunzioni clientelari di massa e lievitavano come i panettoni anche i costi di ogni singola voce, sia pure la fornitura di carta igienica, oggi siamo noi a pagare questo scherzetto. Questo è ancor più evidente a Messina, dove non c’è nessuna correlazione tra i costi e il servizio. E’ questa la differenza tra il mio bollettino Tares e quello di un abitante di Udine o Modena. I nostri bollettini ci fanno arrabbiare perché paghiamo una cifra esorbitante a fronte di un non-servizio. Nel frattempo a Pordenone una famiglia di tre persone paga la metà di me ed usufruisce anche del porta a porta. Leggi che spendiamo quanto Paperopoli e ti illudi di essere nella patria di Mastro Lindo. Poi esci, inciampi in cumuli di spazzatura e ti chiedi dove siano andati a finire quei soldi. Anzi ti chiedi perché la giunta Accorinti abbia approvato senza battere ciglio un Piano di gestione da 45 milioni di euro l’anno. E’ mai possibile che un’intera amministrazione ed un consiglio comunale abbiano fatto da passacarte senza dire un parola? Gli unici a chiedere chiarezza sono stati Daniele Zuccarello (che hanno trattato come uno fuori di testa) e Nina Lo Presti (che hanno accusato di demagogia e populismo). Ma cosa doveva scrivere l’Ato su quel piano di gestione per suscitare un dubbio, una perplessità, una lieve irritazione? Chiedere 100 milioni di euro? Proporre una rapina in banca? E’ illuminante il servizio di Danila La Torre sul perché la Tares dello Stretto costa così tanto. Paghiamo tanto perché il servizio costa tanto. Quasi 19 milioni di euro vanno al personale, 3 e mezzo per la differenziata, 2 per l’Ato. Eppure la voce 3 milioni e mezzo per la differenziata un dubbio lo farebbe sorgere persino a chi non è San Tommaso. E’ come se io decidessi di prendere in affitto un casa ed il proprietario mi dicesse: costa 6 mila euro al mese, ma dentro ci sono i pavimenti in marmo, la lavatrice, il camino ottocentesco, il cameriere in livrea. Prima di firmare entusiasta un’occhiata gliela do e se scopro che al posto del camino c’è un braciere e della lavatrice una bacinella e il cameriere si è licenziato non pago un euro, altro che sei mila…

Paghiamo 3 milioni e mezzo per una differenziata che dobbiamo farci da soli, portando i rifiuti nelle leggendarie isole ecologiche, costose quanto le Baleari ma meno piacevoli, quando nel resto del pianeta si fa il porta a porta. Tre milioni e mezzo per sperare che funzioni la pesa, diano qualcosa di più di un pezzettino di carta con nome e cognome per poter dimostrare il diritto alle detrazioni. Sconti che però non valgono per la Tares del 2013 appena recapitata e che varranno nel 2014 quando nel frattempo non ci sarà più la Tares perché il governo Letta ha già un altro balzello nuovo di zecca. Se poi pensi che paghi 45 milioni di euro per portare la spazzatura in un buco, ti alteri. Se ci organizziamo nel condominio e andiamo a turno in quel buco, alla lunga risparmiamo. A Messina poi portare i rifiuti nel buco è un lusso che facciamo pagare pure ai morti e ai figli che studiano fuori. Non pretendo che per quella cifra vengano a sparecchiarmi la tavola, ma un minimo di decenza sì. Dove finiscono quei soldi? Ma come si può in una città alla fame limitarsi a dire: “abbiamo applicato quanto prevede la norma?” Così faceva Ponzio Pilato, non un buon padre di famiglia. In Italia non tutti i comuni hanno allargato le braccia dicendo: “abbiamo applicato la norma”. Se il medico mi prescrive una supposta e io preferisco lo sciroppo, ci provo eccome a chiedere di cambiare farmaco. Qualcuno ci ha provato a contestare o anche solo a leggere il Piano di gestione? O a Palazzo Zanca pensano di vivere in Val d’Aosta? Che bollettini arrivano nelle loro case? Perché se hanno le mie stesse cifre e non nutrono neanche il minino dubbio sul servizio allora mi faccio mettere nel loro stato di famiglia e mi faccio adottare.

Per favore, qualcuno chiami Robin Hood, urca urca tirulleru oggi splende il sol..

Rosaria Brancato