I “Raggi” di luce che hanno portato le nuvole nel cielo del Pd renziano

Hanno provato di tutto, compresa la scelta dell’election day in un giorno unico (escludendo la possibilità di votare anche il lunedì mattina), nell’unica domenica di fine ponte (un lungo ponte iniziato il 2 giugno), per di più d’inizio estate. Un invito ad andare a votare allettante quanto un piatto di cotechino con le lenticchie a mezzogiorno di ferragosto. Ma i conti con la realtà alla fine si devono fare sempre. Eppure, nonostante tutto lasci intravedere che il 19 giugno sarà per il Renzi-partito una giornata terribile, il segretario nazionale del Pd e Presidente del Consiglio, sta adottando la “strategia della dislocazione spazio-temporale”, crea confusione su date e contenuti. Ha creato un calendario mediatico alternativo. Da più di un mese infatti ha messo le amministrative del 5 giugno dentro una parentesi di dimensioni epocali e ha messo al centro dell’universo e di ogni suo intervento il Referendum Costituzionale di ottobre. Non mi stupirei se domenica 19 giugno gli elettori italiani si recassero nei seggi convinti di dover esprimersi per il sì o per il no alla riforma, tanto ha confuso le acque in queste ultime settimane. E nonostante l’alba del 6 giugno gli abbia consegnato la fotografia di un’Italia che dice NO al suo Pd, continua imperterrito a demonizzare il No del referendum e a parlarne come se ottobre fosse domani mattina. Più si ostina a “saltare giugno” dal calendario reale, più il plebiscito che un tempo immaginava a suo favore, cambia direzione.

Certo, ogni ballottaggio è una partita che ricomincia da zero a zero, ma Renzi non è sciocco e sa che le partite di Roma, Milano, Torino, pur partendo da zero a zero non sono partite di un torneo tra scapoli e ammogliati, sono gare di Champions.

Per questi ballottaggi sta avvenendo quanto, in modo diverso, abbiamo vissuto nel 2013, con il fronte anti-Genovese che ha portato Accorinti alla vittoria ribaltando il risultato del primo turno. Da un lato il premier spera nella raddoppio di Giachetti a Roma sulla Raggi, dall’altro sa che difficilmente sarà così.

Questi ballottaggi sono un referendum su Renzi. Esattamente come è stato nel 2013 a Messina.

A me la Raggi piace molto. Da donna avrei preferito un ballottaggio al femminile con la Meloni perché sarebbe stato un inedito. Mi ha colpito la “normalità” della Raggi. Anche Chiara Appendino a Torino mi ha colpito per la sua normalità. Le candidate che sono andate a votare con il passeggino, la Meloni con il pancione, la Appendino che ha speso 40 mila euro per la campagna elettorale contro i 300 mila euro di Fassino, sono il segno di una nuova Italia. Quella delle persone normali. Alla Raggi vanno i migliori auguri,perché guidare Roma sarà un inferno. Tempo un mese fioccheranno problemi, proteste, tradimenti, avvisi di garanzia.

A Roma e Torino la partita è tutti contro Renzi, con Salvini e parte del centro-destra che voteranno per il M5S. Non sappiamo se e fino a che punto il M5S ricambierà il favore a Milano dove la partita è tra il renziano Sala e un inaspettato Parisi schierato dal centro-destra unito, e a Bologna, tra il Pd Virginio Merola in caduta libera e Lucia Bergonzoni, candidata leghista. Il Pd resta fuori dalla partita a Napoli, dove la Valenti, candidata renziana con “sfumature” verdiniane è rimasta fuori dal ballottaggio. Uno scacco matto al Re con l’aggiunta di un’inchiesta per brogli elettorali che ha visto coinvolte due candidate Pd ed un commissariamento del partito. Nel frattempo Saviano ha il tempo di raccontare all’Italia la storia del novello Caligola, al secolo Enzo De Luca, governatore della Campania che riesce a piazzare assessore il figlio Roberto nella giunta appena eletta di Salerno (senza che il figlio si sia preso neanche il disturbo di candidarsi…).

Le amministrative del 5 giugno sono riuscite a far rialzare la testa al centro-destra in chiave anti-Renzi. Nonostante una Forza Italia ai minimi storici a Roma (cui ha fatto da contraltare la coppia Meloni-Salvini), il centro-destra si è ringalluzzito a Milano e Bologna. Chi come l’Ncd di Alfano si stava acquattando all’ombra di Renzi o come Verdini sognava di diventare alleato di ferro, sperando in strapuntini futuri, adesso ha tirato il freno a mano. Nel caso di Verdini è stato lo stesso Renzi che ha accompagnato la sua Ala fuori dalla porta dopo il disastro di Napoli. L’aggravarsi delle condizioni di salute di Berlusconi, e le dichiarazioni della figlia Marina e di Confalonieri, hanno aperto la strada a quell’ipotesi che finora nessuno aveva preso in considerazione: Silvio non è immortale. Carisma e leadership non si ereditano né si impongono per imposizione delle mani ed anche se i suoi si sono convinti dell’eternità del loro leader sta per iniziare la lotta alla successione, con tanto di morti e feriti. Se anche Forza Italia dovesse passare a “miglior vita” è indubbio che il che il centro-destra dovrà comunque trovare asilo da qualche parte. Insomma, è già iniziato il dopo Berlusconi, nonostante il cerchio magico e la sua corte.

Questo clima, con il centro-destra in fermento, il M5S in crescita, la sinistra Pd ferita, non va nella direzione che Renzi auspicava quando ha voluto l’Italicum prima e la riforma poi, anche a costo di fare patti con il diavolo.

Le nubi finite nel cielo di Renzi le ha volute lui. Se ti metti al centro del ring e sfidi chiunque la pensi in modo diverso da te, se fai patti spregiudicati, prima o poi qualcuno che risponde alla sfida lo trovi. Sono convinta che il ballottaggio del 19 giugno e il referendum di ottobre porranno fine all’ambiguità di questi anni, a governi che non sono né di destra né di sinistra ma un’ammucchiata indistinta.

La scorsa settimana l’Italia ha detto: Matteo#staisereno, ed il 19 sarà la prova generale di quanto accadrà ad ottobre, con un fronte anti-Renzi che vedrà dalla stessa parte sia il M5S che il centro-destra, che quella parte di Pd che sa che se vince il sì ai successivi congressi di partito rischia di far tappezzeria mentre Boschi & C. ballano.

Rosaria Brancato