Cultura

Messina. Al Teatro Vittorio Emanuele la mostra “Les Amants” di Puccio

MESSINA – Per la rassegna L’Opera al Centro curata da Giuseppe La Motta, avrà luogo il vernissage della mostra Les Amants, dell’artista Puccio, introdotto dal testo critico a cura della storica e critica d’arte Mariateresa Zagone. La mostra sarà visitabile fino a mercoledì 8 giugno (ad esclusione dei lunedì) ed osserverà i seguenti orari: 10-12:30 e 16-18:30.

Si tratta di dipinti e disegni, quasi tutti inediti, risalenti agli anni 1979-1993 la cui cifra stilistica è da rintracciare nel plasticismo vigoroso, nel monumentalismo e nell’arcaismo mitico della relazione uomo-natura. Le figure degli amanti, inizialmente sottili ed allungate, progressivamente acquisiscono plasticità. Sono immagini riconoscibili e al contempo evocative del vissuto individuale. Su tutto domina lo Stretto, le montagne dell’Aspromonte come orizzonte certo, gli intonaci rossi e gialli, gli interni essenziali che si aprono sul mare, il profilo inciso dalle taglienti linee di contorno, le grandi madri o i bagnanti. Sono forme semplificate, ferme in un tempo che è quello dell’attesa nel cui universo immobile riecheggia la sospensione temporale di certa pittura metafisica.

L’artista Puccio

Filippo La Fauci, è nato a Messina nel 1958 dove risiede. È un pittore autodidatta che si è formato frequentando le Botteghe e gli Studi di molti artisti locali a partire dagli anni ‘70. Dalla metà degli anni ‘80 ha esposto in molte mostre personali e partecipato a numerose collettive sia a Messina che nel resto della Sicilia esponendo anche a Roma, Milano, Boston. Sue opere si trovano in Collezioni pubbliche e private. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti.

Parlare di Puccio analizzando la sua produzione grafica e pittorica degli anni ‘80 (con lo sforamento di qualche anno nei decenni precedente e successivo), significa aprire una finestra sul fertile humus della ricerca pittorica in città e sui suoi protagonisti. Artisti che giravano attorno ad un circuito fatto di gallerie e mostre istituzionali che ci consegnano la cronaca vivace di anni che, comunque, poco avevano concesso all’estremo sperimentalismo caratterizzante la seconda metà del ‘900 e che non avevano mai davvero rinunciato alla materia e alla pittura con punte di importante figurazione. Le sue frequentazioni messinesi già dai primi anni ‘70 sono presso la bottega del decoratore Paolo Saija e proseguono negli ‘80 con artisti del calibro di Carlo Giorgianni, Bruno Samperi, Mariella Marini e, soprattutto, Franco Palmieri. Per l’artista le correnti italiane che, fra gli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, avevano reagito allo sperimentalismo eccessivo delle avanguardie storiche hanno rappresentato un amore iniziale, non già una riscoperta: De Chirico, Donghi, Modigliani, Sironi, Campigli e, a ben guardare, perfino le “trasformazioni” classiciste di Renoir, Derain, e Picasso dopo il viaggio in Italia.

La sua arte

Tutti “recuperi” che Puccio attua in seno alla tradizione e che sono matrice dichiarata e sempre onesta della produzione, quasi interamente inedita, di questa mostra scritta a due mani con l’artista nella scelta del filo conduttore e di ogni singola opera, incentrata appunto su figure di amanti quasi sempre abbracciate, che si sostengono l’un l’altra nell’incedere o il cui ricordo d’amore, nostalgicamente, viene sottolineato da una fotografia. Figure che inizialmente sono sottili ed allungate, trasformate dalla passione e dalla purezza del sentimento e che, progressivamente, acquisiscono plasticità. Su tutto domina lo Stretto, le montagne dell’Aspromonte come orizzonte certo, gli intonaci rossi e gialli, gli interni essenziali che si aprono sul mare, il profilo inciso dalle taglienti linee di contorno, grandi madri o bagnanti nudi, la fontana della vita trasferita dai giardini di delizie gotici e ricollocata sulla riviera nord a Paradiso, l’azzurro del mare, e ancora il mare. 

Questa la Messina silenziosa di Puccio inquadrata dal mare, con architetture, personaggi mitici e non, arcani moli cui si aggrappano scafi rugginosi in una strana contemporaneità sospesa. Il taglio, soprattutto negli interni, è quello fotografico, amplificato dalla semplicità degli ambienti e dal gigantismo dei personaggi spesso puri volumi privi di volto. Le forme sono semplificate, il tempo è quello dell’attesa. “Una piccola ma interessantissima sezione di questa mostra è dedicata ad un peculiare momento della vita dell’artista quando, nel dicembre del 1991, per lavoro, viene trasferito dall’ospedale Papardo all’allora manicomio Mandalari come infermiere. Il dolore, l’incomunicabilità, l’abbandono e al contempo l’abitudine necessaria alla sopravvivenza di chi è dimenticato e volutamente nascosto dalla società, diventano il soggetto di 7 opere: Solitudine, L’esodo, Il cantastorie italiano, La strana coppia, La sete, Amico, Le chiavi della lussuria tutte del ‘92 e concludono, anche cronologicamente questo percorso.