Cultura e spettacoli

Messina. “Minima mente blu”: esercizio poetico di interrogazione e ricerca 

Foto di Giuseppe Contarini

MESSINA. Una ricerca fatta di frammenti lirici, musica e colore, movimento e parola. Una sola grande protagonista: Sibilla. Dinanzi a lei un bivio e tante domande.

A raccontarle è “Minima mente blu. Accordi sintetici per una nudità d’essenza”, scritto e diretto da Auretta Sterrantino, interpretato da Giulia Messina. La produzione di QA- Quasianonima è andata in scena all’Area Iris per il Cortile Teatro Festival, trasportando il pubblico in un cammino che inizia nel 2016.

Minima mente blu

“Minima mente blu” è, infatti, l’evoluzione di “Nudità. Chiaroscuro permanente”, primo studio del primo capitolo di una Trilogia sull’Arte, nata da una riflessione sulla poetica di Kandinskij e Schönberg, sulla loro ricerca di colore e musica e sulla loro umanità, raccontata negli scambi epistolari tra i due.

Il primo capitolo (cui fa seguito anche un secondo dedicato alle figure di Cervantes e Caravaggio, e un terzo ancora) ha per protagonisti tre personaggi: Sibilla e i suoi due Maestri – il pittore Kappa (il cui riferimento è a Kandinskij) e il musicista Esse (che si riferisce a Schönberg).
In questo secondo studio del primo capitolo, invece, Sibilla resta l’unica protagonista, la sola voce in un viaggio di scoperta (nel quale non smette mai, però, di rievocare i maestri) tra parole, colori, numeri, suoni, linee, movimenti ed emozioni.

Uniti dalla stessa ricerca di senso e dalla stessa intensità, i due studi si differenziano, poi, fortemente. Diverso il loro stile, diversa la scrittura; “Nudità” è più vicino al teatro di prosa, “Minima mente blu” è un teatro di poesia che si fonda con il teatro danza.

Sinestesia di emozioni

Proprio l’ispirazione a Kandinsky e Schönberg permette al lavoro di presentarsi come una perfetta sinestesia artistica, atta a manifestare la volontà di ricerca di un’arte totale (dalla matrice wagneriana cara alla drammaturga).

La parola entra in dialogo con il corpo mentre la musica compone spazi sonori di senso composti da armonie e dissonanze; voce, movimento e suono, valorizzati e evidenziati anche dall’attento gioco di luci (musiche e progetto audio sono di Vincenzo Quadarella, il disegno luci è di Stefano Barbagallo, l’assistenza alla regia di Elena Zeta) comunicano all’unisono, regalando un linguaggio nuovo e incisivo dal quale lo spettatore si sente del tutto rapito. Un linguaggio unico in una moltitudine di sfumature e corde diverse.

La qualità del movimento rispecchia pienamente la natura dello spettacolo. I movimenti scenici si delineano come una tensione del corpo, fluida e continua, all’interno di un ampio respiro, senza alcuna costrizione o alcun movimento spezzato. L’ipnotica Sibilla di Giulia Messina sembra quasi smettere di essere un corpo per farsi strumento mobile in mano alla parola e al suono; è capace di far vedere i colori che racconta e di far sentire le emozioni che vive. Cattura tutte le attenzioni del pubblico, è impossibile allontanarle lo sguardo, non si può far altro che addentrarsi nel cammino da lei intrapreso. 

La ricerca di Sibilla

Due strade. Da una parte la ricerca del duo rimasto ora solo un uno: la sorella di Sibilla, Xenia, unica certezza di un mondo incerto, ma ormai persa da tempo. Dall’altra la ricerca dell’arte, essere in mi minore, azzurro chiaro? O sintetizzarsi in sol diesis minore, blu, profondo e nostalgico?

Una strada per perdersi, una per esistere, un conflitto interiore a volte incerto, a volte deciso, che attraversa il dolore e l’entusiasmo, la paura e il coraggio.

La forza che muove Sibilla è quella della ricerca, ricerca dell’altro che diventa, poi, ricerca di se stessa; “trovare me, cercando te”, afferma pensando alla sorella. Un viaggio all’interno della sua nudità interiore, che spaventa e affascina; di scoperta dei suoi pieni e dei suoi vuoti; una strada attraverso i suoi sentieri inaccessibili, fatti di domande: Da dove vieni? Di che colore ti senti?

La ricerca di noi stessi

Sibilla cercando la sorella trova se stessa, mentre noi spettatori, seguendo lei, impariamo a cercare noi stessi. Diventiamo parte attiva in questo percorso. Ci addentriamo nei meandri della nostra interiorità; tocchiamo con mano gli abissi della nostra psiche per poi risalirvi; rivolgiamo a noi stessi i quesiti su cui Sibilla si arrovella, tanti ma senza risposta.

Va avanti così la ricerca del nostro essere, implica sempre una dose di incertezza, è un processo senza conclusione ma generatore di continue nuove domande. Non basta una vita per trovarci, mentre serve un secondo per perderci di nuovo; ma nella difficile caccia a noi stessi riusciamo, al tempo stesso, anche a trascendere ciò che siamo. Il grande merito di “Minima mente blu” è avercelo ricordato.

La bellezza dei punti interrogativi

È un viaggio volutamente criptico ed enigmatico. Lo dimostra già il suo titolo: in “Minima mente”, “mente” può essere sia verbo (rendendo “minima” il soggetto) che soggetto (rendendo “minima” aggettivo); uniti, poi, formano l’avverbio “minima-mente”. E il blu resta sempre il grande protagonista, blu è Sibilla, le sue speranze e i suoi segreti, il suo andare e il suo tornare.

È un viaggio misterioso che svela poco a poco il suo senso, ma mai definitivamente (d’altronde le profezie delle Sibille restano sempre oscure). Una strada di ritorno senza ritorno; una circolarità che si chiude con gli stessi versi con cui si è aperta.

Sin dall’inizio, non riusciamo con facilità a comprendere cosa accada a Sibilla, cosa lei e la sua storia vogliano dirci, ma questo, non solo non disturba chi guarda, diventa, anzi, quasi necessario. Ci permette di abbandonare la pretesa, illusoria, di dover sapere tutto; per aprirci, invece, al fascino del dubbio che ci interroga. Il sentire diventa primario. Conta solo ciò che l’avventura della giovane ci fa provare, travolgendoci nella celebrazione delle sue parole e del loro mistero, abbandonandoci in una spirale di emozioni, forti e diverse.

“Sento l’aria, vedo il tempo” afferma Sibilla e di questo rende capace anche il suo pubblico. “Minimante blu” è un poetico esercizio di interrogazione personale e ricerca, una sinestesia multipla dalla quale non deriva nessun punto fisso, ma infiniti punti di domanda. Che lo spettatore porta a casa con sé, custoditi fino al prossimo capitolo.

𝗠𝗜𝗡𝗜𝗠𝗔 𝗠𝗘𝗡𝗧𝗘 𝗕𝗟𝗨

Accordi sintetici per una nudità d’essenza

II studio su V. Kandinskij e A. Schönberg

I capitolo della Trilogia sull’Arte

con 𝗚𝗶𝘂𝗹𝗶𝗮 𝗠𝗲𝘀𝘀𝗶𝗻𝗮

disegno luci 𝗦𝘁𝗲𝗳𝗮𝗻𝗼 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗮𝗴𝗮𝗹𝗹𝗼

musiche e progetto audio 𝗩𝗶𝗻𝗰𝗲𝗻𝘇𝗼 𝗤𝘂𝗮𝗱𝗮𝗿𝗲𝗹𝗹𝗮

assistente alla regia 𝗘𝗹𝗲𝗻𝗮 𝗭𝗲𝘁𝗮

regia e drammaturgia 𝗔𝘂𝗿𝗲𝘁𝘁𝗮 𝗦𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮𝗻𝘁𝗶𝗻𝗼

ufficio stampa 𝗠𝗮𝗿𝘁𝗮 𝗖𝘂𝘁𝘂𝗴𝗻𝗼

fotografo di scena 𝗣𝗵. 𝗚𝗶𝘂𝘀𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗖𝗼𝗻𝘁𝗮𝗿𝗶𝗻𝗶 – 𝗙𝗼𝘁𝗼𝗶𝗻𝘀𝗰𝗲𝗻𝗮

una produzione 𝗤𝗔-𝗤𝘂𝗮𝘀𝗶𝗔𝗻𝗼𝗻𝗶𝗺𝗮𝗣𝗿𝗼𝗱𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗡𝘂𝘁𝗿𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗧𝗲𝗿𝗿𝗲𝘀𝘁𝗿𝗶