Cultura

Michael Oakeshott torna nelle librerie con “Razionalismo in politica”

Uno spettro si aggira per l’Europa (e non solo): lo spettro del razionalismo. Questa la diagnosi del filosofo politico Michael Oakeshott in un testo che da qualche mese è stato pubblicato per le edizioni IBL Libri, Razionalismo in politica e altri saggi (uscito per la prima volta in Inghilterra nel 1962). Ma cosa si intende per razionalismo? È presto detto: si tratta di una tendenza che svaluta l’esperienza e che preferisce ad essa principi razionali. In altre parole, l’esperienza, anche storica, non serve a nulla se non può essere razionalizzata, cioè ridotta a formule prime e chiare.

Una tendenza, quella del razionalismo, che «ritiene che il crearsi un’abitudine sia sinonimo di fallimento». E che quindi diffida della tradizione. Infatti «tutto ciò che è stato consciamente pianificato e deliberatamente eseguito viene considerato (proprio per tale ragione) migliore di ciò che è cresciuto e si è affermato senza averne avvertenza lungo un arco di tempo».

Suoi obiettivi sono la distruzione e la creazione, e non invece l’accettazione di uno stato di fatto oppure la sua riforma. Perché riparare se si può ri-fare tutto daccapo? E la politica diventa mera ingegneria. Tra l’altro, «non vi può essere spazio per preferenze che non siano razionali, e tutte le preferenze razionali necessariamente coincidono», scrive Oakeshott. Sicché il razionalismo in politica conduce all’uniformità. In più, «non esistono gradi nella conoscenza, ciò che non è certo è mera ignoranza»

Ma così il pericolo dell’astrazione è dietro la porta. Avverte Oakeshott: «Come Mida, il razionalista si trova sempre nella sfortunata condizione di non poter toccare nulla senza trasformarlo in un’astrazione: non riesce mai ad avere un pasto sostanzioso di esperienza». Ma la conclusione è la distruzione dell’esistente e la sua sostituzione con un suo surrogato, un condensato di pura astrazione razionalistica. Scrive Oakeshott: «Dapprima facciamo del nostro meglio per distruggere l’autorità dei genitori (a causa del presunto abuso che si fa di essa), poi deploriamo in maniera sentimentale la scarsità di “buone famiglie”, e quindi concludiamo creando dei sostituti che completano l’opera di distruzione».

L’atteggiamento contrario a quello del razionalista, dice Oakeshott, è quella conservatore. Quest’ultimo è caratterizzato da quella che lui chiama la gratitudine verso ciò di cui godiamo, il «riconoscere di aver ricevuto un dono o un’eredità dal passato; ma non vi è nessuna idolatria per ciò che è passato o scomparso». È la consapevolezza, inoltre, che «non esiste il miglioramento puro e semplice», ma che ogni riforma porta con sé un certo grado di giustezza e di malvagità – o di opportunità e di sconvenienza.

Insomma, Razionalismo in politica e altri saggi è un testo importante che propone uno studio approfondito della natura umana – una natura composta, secondo Oakeshott, dall’inclinazione a progettare (il razionalismo) e dalla tendenza a conservare (il conservatorismo). Ma – sembra suggerire Oakeshott – c’è bisogno di entrambe, come sottolinea anche il curatore e traduttore del testo, Giovanni Giorgini, nell’opportuno ed esaustivo saggio introduttivo. La natura umana è composita e non si può ridurre a una delle sue due inclinazioni, pena l’irrigidimento e, infine, la morte della società.