“Messina non può che essere accogliente verso chi scappa da guerra e fame”

Di poche ore fa la notizia che i migranti sbarcati dalla nave Diciotti sono stati portati a Messina, in attesa di essere trasferiti in Albania, Irlanda o accolti dalla CEI – e quindi, sebbene il Ministro Salvini stia attento a non suggerirlo, presumibilmente in Italia.

Dai messinesi non ci si può che aspettare comprensione e accoglienza nei confronti di persone che perlopiù scappano da guerre – come la maggior parte degli sbarcati dalla Diciotti, che vengono dalla martoriatissima Eritrea, paese attualmente in guerra e ex-colonia italiana – o anche da violenze sessuali, come quelle subite in Libia dalle donne che sono state portate oggi in ospedale a Catania.
Proprio i messinesi sanno benissimo cosa voglia dire essere costretti a scappare in un paese straniero per avere un futuro. Se non lo hanno sperimentato in prima persona, lo vedono tramite i propri figli, che sono considerati “fortunati” se hanno alle spalle una famiglia che può permettersi di mandarli a lavorare o studiare all’estero.
Tantissimi giovani messinesi scappano al nord o all’estero – oppure prima l’uno e poi l’altro, tra le lacrime delle madri e i silenzi dei padri – che pure magari piangono, ma siccome sono maschi siciliani non si vede – che sebbene vorrebbero averli vicini, a tavola ogni giorno, non se la sentono di dire loro “Rimanete” perché comprendono le ragioni che li spingono a partire. Sono migranti economici, tanti giovani messinesi. Siamo migranti economici.
E così come la situazione dei migranti economici – a differenza magari di chi fino a qualche mese fa insultava noi “terroni” con la stessa veemenza ora riservata ad altri capri espiatori del momento – non è che la comprendiamo, ma la viviamo in prima o in seconda persona, come possiamo allora non comprendere chi nella disperazione sacrifica tutti i suoi risparmi per fare fuggire i propri figli, la propria famiglia e se stesso (quando ci riesce) da condizioni di povertà spesso ben più estrema e senza appello o addirittura da guerre, torture, violenze sessuali e schiavitù?
Per questo dagli esseri umani in generale, e dai messinesi in particolare non ci si può che aspettare accoglienza.
Ah no, aspetta: chisti niri sunnu!
E certo, che c’entrano con noi che proprio la settimana scorsa abbiamo fatto sfilare per la città il cavallo di Grifone, fondatore – nero – della città di Messina.
Forse un poco messinesi sono questi migranti, o siamo noi che siamo un po’ africani. E accogliamoli allora, seppure di passaggio, come vorremmo che i nostri figli venissero accolti a Londra, Parigi, Ginevra o nelle altre città dove spediamo i tanto ambiti pacchi pieni di salsa di pomodori o melanzane sott’olio. A loro i pacchi non li può spedire nessuno. E se ci preoccupiamo che i nostri figli abbiano problemi a fare il bucato, che non si possano permettere una casa con un divano letto su cui ospitarci, che non ci telefonino abbastanza, che non sappiano cucinare, pensiamo a quei ragazzi che, se sono stati tanto fortunati da arrivare a Messina, vengono giudicati viziati se chiedono che non gli venga sequestrato il telefono per aggiornare i propri parenti e che nel tragitto hanno perso tutti i loro averi, la salute e anche un poco di dignità.
O vogliamo correre il rischio di perderla noi?
Federica Merenda