La ricerca dell’assoluto: la Napoli oscura di Peppe Servillo

L’utopica aspirazione di narrare un Meridione combattuto tra le proprie incoerenze: mito, tradizione, violenza, apatia e superstizione come arcaici richiami di un’identità immutabile nei secoli. Peppe Servillo racconta Napoli tra aristocratici barocchismi e duelli rusticani, pene d’amore e vita di strada, lucido nell’esaltare il momento di crisi, lo strappo, il ricordo nostalgico di un desiderio svanito. Con lui sul palco, nel suggestivo scenario del Castello di Milazzo, il Solis String Quartet, formazione jazz composta da Antonio Di Francia (violoncello), Gerardo Morrone (viola), Luigi De Maio (violino) e Vincenzo Di Donna (violino), per il progetto sperimentale confluito nell’album “Spassiunatamente”.

Una lenta progressione celebra un repertorio di classici recuperati e riconsegnati ad una nuova esistenza (come nel “Pierre Menard autore del Chisciotte” di Jorge Luis Borges): i furori sconfitti di “Munasterio” aprono un concerto chiamato ad addentrarsi tra i vicoli oscuri della quotidianità attraverso spassionate glorificazioni dell’amata o giocosi intermezzi caratterizzati da paziente rassegnazione. Quindi “Maruzzella”, “Era de Maggio” e “Che t’aggia di”, l’interminabile controra descritta da Libero Bovio in “Esta’” e le storie di onore e dignità di “Guapparia”, “Serenata ‘e Pulecenella” e “Guappo ‘nnamorato”. Finale (inaspettato) con “Festino” di Mario Merola, violento e spregiudicato frammento d’esperienza, bruciante scarnificazione di un amore feroce.

In un continuo dialogo con il quartetto d’archi che lo accompagna, il leader della Piccola Orchestra Avion Travel illumina ad arte una visione, un aneddoto, in un viaggio che diviene sempre più concreto e carnale. Servillo come maschera della coscienza partenopea, dunque, in un’esibizione che non concede nulla alla consueta immagine di una Napoli stereotipata: storie sotterranee di sospetti e pregiudizi o di ingenuo sfavillio per un oscuro scrutare nella vertiginosa ambizione di un popolo di rappresentare il creato a propria immagine e somiglianza.

Domenico Colosi