Addiopizzo e il confine tra il silenzio e la complicità

L’episodio delle minacce ad Addiopizzo comporta alcune riflessioni. Il fatto è noto: nel pomeriggio del 14 agosto i giovani dell’associazione stavano distribuendo nel corso Garibaldi volantini antiracket quando 3 persone che si son dichiarate componenti del Comitato Vara le hanno minacciate costringendole ad allontanarsi. Quindi è stato un susseguirsi di polemiche, attestati di solidarietà, lunghissimi silenzi, dichiarazioni e comunicati dosati parola per parola. Vorrei fare una premessa: sono certa che il Comitato Vara e la stragrande maggioranza dei tiratori siano persone perbene che nulla hanno a che vedere con l’illegalità. Ma proprio per questo, ed a maggior ragione, le prese di posizione nette sono un dovere.

Le parole sono pietre e a volte sono proprio le parole a marcare quel confine sempre più sottile tra l’indifferenza e la connivenza, il silenzio e la complicità. Le zone d’ombra sono più pericolose del buio perché pensi di poter vedere ancora qualcosa e invece non ti accorgi di quel che hai sotto il naso, inciampi e cadi.

Quel che mi ha colpito è stata la lentezza e direi la reticenza nel condannare chiaramente atti che sono indiscutibilmente mafiosi per modi e contenuti, quella sorta di condanna dei gesti quasi strappata a forza e dosata col misurino. Abbiamo visto immediatamente scendere in campo associazioni, sacerdoti, alcuni partiti, centinaia di singoli via facebook, stampa e sms, ma pochissime istituzioni e chi lo ha fatto lo ha fatto in ritardo, misurando le virgole. Il Comitato Vara si è espresso il 17, il sindaco solo via twetter il 18, gli assessori comunali e provinciali e i rappresentanti delle istituzioni presenti alla Processione non hanno fiatato.

Ci sono ruoli che non possono spingere le persone a trincerarsi dietro le zone d’ombra del detto-non detto, ma impongono un dovere: la chiarezza. Invece è stato tutto un minimizzare arrivando persino a farne una questione di centimetri: quanti centimetri di distanza da Piazza Castronovo i ragazzi hanno diffuso il volantino. Se lo avessero diffuso a Piazza Cairoli il problema non si sarebbe creato. Secondo questa tesi, che è poi la stessa degli aggressori, sarebbe stato meglio che il volantino lo distribuissero a Udine dal momento che a “Messina non c’è la mafia”.

E’ in questo sottilissimo spazio che la mafia come “cultura” si annida. La mafia è anche quella senza armi, è assenza di domande, di dubbi, è quando osservi una cosa che accade e non ti chiedi niente.

E’ in quel vuoto, in quel silenzio che la mafia nasce, si nutre e vive. E’ come la polvere che s’infila tra le gente, i negozi, gli uffici, i luoghi di lavoro e i palazzi dello Stato e a un certo punto ti convincono che non c’è perché come la polvere si posa e non la vedi quindi non esiste, non nel tuo quartiere. E se qualcosa non succede a te allora vuol dire che a casa tua la mafia non entrerà mai e puoi dormire tranquillo. E non ti accorgi che chiudendo la porta e non volendo vedere è già passata attraverso gli infissi e che è stato proprio quel tuo scrollare le spalle a farla entrare.

Da Messina i nostri giovani scappano, una volta raggiunta la soglia dell’adolescenza sanno che se non sono nella fascia dei fortunati-raccomandati-figlidi dovranno andar via. Quindi, per quel poco che devono restare fanno quel che fanno i ragazzi, si divertono, ma non s’impegnano.

I ragazzi di Addiopizzo hanno commesso un peccato imperdonabile: hanno creduto nella Messina di domani, hanno creduto che è la loro terra e che possono migliorarla. E si sono impegnati per cambiarla.

Il 14 agosto pomeriggio non erano al mare come il 99,9% dei loro coetanei ma erano nel corso Garibaldi a distribuire volantini antiracket.

L’assessore Caroniti, unico della giunta a parlare finora, ha parlato di “equivoco”, e il Comitato Vara dopo 3 giorni ha scritto “siamo pronti a riconoscere i torti là dove accertati dall’Autorità giudiziaria per eventuali intemperanze”.

Nel comunicato non viene nominata una sola volta la parola “mafia”, nonostante il termine sia presente nel volantino, nelle minacce, nell’aria afosa del 14 agosto. Le minacce non sono equivoci. Chi ha cacciato quei ragazzi dicendo “la mafia non esiste andatevene. Qui offendete la Madonna” sapeva benissimo quel che diceva. E gli atti intimidatori non sono “eventuali intemperanze”, ma gesti reali.

Il volantino di Addiopizzo era un messaggio di pura fede: fede nella Madonna sperando che un miracolo possa cambiare questa città e fede negli uomini che vogliono cambiare. Se non erro quando Gesù entrò nel Tempio non disse paroline dolci ai mercanti. Oggi non ho alcun dubbio che sarebbe stato con i ragazzi a distribuire i volantini, perché è lì la vera fede, quella che esce dalla Chiesa e va in strada dove rischia di “prenderle” ma è lì che vivono i mercanti.

La lieta notizia è che abbiamo cresciuto giovani diversi da noi, infatti hanno subito denunciato il fatto senza paura.

Ecco perché dobbiamo avere il coraggio delle parole, per non spegnere quella fiamma che i ragazzi hanno tenuto accesa nonostante frasi da rebus da settimana enigmistica e tentativi di minimizzare. Il coraggio di non usare mezze parole è un dovere verso questi ragazzi.

Loro resteranno qui se noi isoleremo chi pensa che la Vara sia “cosa di qualcuno”, chi usa atteggiamenti mafiosi. La storia insegna che quando qualcuno, sia esso magistrato, poliziotto, sacerdote, commerciante, giornalista, amministratore, viene lasciato solo, la mafia lo uccide.

E’ l’isolamento l’arma più forte della mafia. L’isolamento avviene quando un intero popolo si nasconde dietro le parole e quando il confine tra il silenzio, l’indifferenza, la complicità e l’omertà diventa talmente sottile da non distinguerlo più.

“Maria, libera la città dalla mafia e dal pizzo. E già che ci sei anche dal silenzio e dalle mille forme di complicità che nascono dalla paura ”.

Rosaria Brancato