LA LETTERA

“Mio padre, morto al Papardo. In ospedale è mancata l’umanità”


Caro Direttore, mio padre è deceduto presso l’ospedale Papardo. Non voglio entrare in merito alle cure prestate al mio babbo, ma mi soffermo  sul trattamento morale che ho ricevuto.

La caduta e il ricovero

Lo sintetizzo di seguito: mio padre dopo una caduta subisce la rottura del femore, l’ ambulanza lo porta al Piemonte, ma non c’è posto per il ricovero e viene mandato a Cristo Re. Qui mi prospettano un intervento con chiodo al titanio, ma essendo la struttura non sicura per le problematiche fisiche del mio babbo di conseguenza viene mandato al Papardo, dove l’intervento sarà fatto senza l’uso di chiodo al titanio (molto più mobile). Dopo l’intervento per ben tre volte il femore se ne esce fuori, due volte con manovre (dolorose) che rimettono in asse il femore la terza volta, obbligatoriamente, si passa ad un intervento diverso molto più sicuro, mi chiedo perché non fatto prima?

Nessuno mi ha chiamato

Ma 48 ore dopo l’intervento, nel frattempo non si riusciva mai a parlare con i medici, mio padre alle 18:30 del 22 febbraio andava in dialisi e nessuno si è degnato di chiamarmi, alle 23:00 entrava in sala operatoria e nessuno si è degnato di chiamarmi, alle 04:00 del giorno dopo mio padre moriva e neanche questa volta nessuno si è degnato di chiamarmi. Riesco ad avere notizia della morte di mio padre alle 09:00 da una amica infermiera, che non mi stancherò mai di ringraziare. Fatte le rimostranze al primario, questi prima si altezzava in superiorità, ma data la mia determinazione ammette che sono stati fatti degli errori comportamentali.

Serve umanità

Questa lettera vuole rappresentare un monito per le strutture sanitarie che a volte con il loro comportamento possono ferire una persona ancora più del danno fisico. Ed inoltre, il covid sta nascondendo questi comportamenti.
Per finire nel ricovero di mio padre, si sono persi l’apparecchio acustico, un paio di scarpe e due pigiami.

Cordiali saluti Matteo Durante (Villafranca Tirrena)