La vittoria dei precari Rfi e i risvolti della sentenza sui marittimi

La notizia è di un paio di giorni fa: la Corte di Cassazione ha dato ragione ai marittimi di Rete Ferroviaria Italiana, impegnati in una storica vertenza per il riconoscimento del contratto a tempo indeterminato ai lavoratori dei traghetti in servizio sullo Stretto. Cinquantotto i precari che hanno vinto la loro battaglia lunga quasi un decennio, fatta di pronunce ribaltate e passata per la Corte di Giustizia Europea. A difendere i marittimi, tra gli altri legali, l’avvocato messinese Aurora Notarianni.

La Suprema Corte ha rinviato la questione alla Corte d’Appello di Palermo, che dovrà tener conto dei principi affermati in sentenza. Principi che vanno oltre la prospettiva di uscita dalla precarietà dei marittimi messinesi.

Sono stati infatti affermati – in via definitiva e con efficacia di giudicato ed effetti normativi – due principi fondamentali per il lavoro marittimo.
I giudici di Lussemburgo hanno affermato, con sentenza – del luglio 2014 – che ha valore di legge in tutti gli stati membri, che al lavoro marittimo si applica la direttiva europea sul lavoro a tempo determinato, quella ciò che prevede la regola del lavoro a tempo indeterminato ed i limiti di durata o le ragioni oggettive per i contratti a termine.

Si applicano anche, dunque le relative sanzioni, a cominciare dalla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, punto sempre respinto sia da Rfi che dalla Capitaneria di porto di Messina, che con atto a firma del comandante Samiani ha sostenuto la normalità per il marittimo di essere arruolato per 78 giorni.

Prendendo spunto da questa causa, la commissione europea ha poi proposto al Parlamento l’applicazione al lavoro nautico di altre direttive importanti -come quelle sul licenziamento collettivo, sul trasferimento di azienda, sulla rappresentanza sindacale in azienda – in modo da equiparare i marittimi a tutti i lavoratori subordinati ed evitare distorsioni nella concorrenza e nel mercato.

Non si tratta di regole senza risvolti sulla tutela dei lavoratori ma anche dei passeggeri. La mancanza di tutele uniformi consente agli armatori di formare equipaggi senza competenze adeguate. E’ così che il comandate Schettino ha potuto sostenere che il suo nostromo, non comprendendo la lingua inglese, ha fatto sbattere la Concordia sugli scogli.

Tornando alla sentenza più recente, la Cassazione ha affermato il principio di diritto che il giudice di merito dovrà accertare se – oltre l’abuso ai sensi della direttiva UE – c’è la frode ai sensi del nostro codice civile, condividendo la difesa dei ricorrenti che il numero di contratti con la stessa persona e quelli stipulati subito dopo lo sbarco per le stesse mansioni di fatto consentono all’impresa di frodare la legge italiana ed il contratto collettivo, non assicurando i diritti alla stabilità e all’anzianità dei lavoratori che occorrono per coprire l’organico e per garantire la sicurezza della navigazione.

Per rimanere sul piano degli esempi pratici, una parte dei morti tra l’equipaggio del Segesta, la nave Rfi che entró in collisione nello Stretto, erano precari. Subito dopo la collisione montarono le polemiche sulla mancanza di un ufficiale di coperta, a bordo, che forse avrebbe potuto evitato il disastro.

Secondo i ricorrenti la frode è “confessata” dal termine di durata del contratto per 78 giorni di lavoro che è il minimo per prendere disoccupazione e malattia.

Adesso la parola passa ai giudici di Palermo che potrebbero scrivere la parola fine alla vicenda, cominciata con i ricorsi al Tribunale di Messina, una parte vinti e una parte respinti, mentre in seconda battuta la corte d’Appello dello Stretto ha rigettato tutti i ricorsi. Mentre la battaglia giudiziaria passava a Palermo e poi Roma e a Lussemburgo, a Roma e Messina i precari marittimi portavano avanti la battaglia sul piano sindacale, in prima fila l’Orsa. E non sono mancate le proteste eclatanti, come l’occupazione della sede di Rfi.