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Non chiamiamoli furbetti: perché è giusto dare il reddito di cittadinanza a chi non è incensurato

Antonio, il nome è di fantasia, lavora in un’azienda pubblica. Ha un problema giudiziario e perde il lavoro. Paga i conti con la giustizia ma viene licenziato e non riesce a trovare un nuovo impiego in seguito alla sua detenzione in carcere. In attesa che qualcosa si sblocchi sul piano lavorativo, e non è facile, chiede il reddito di cittadinanza ma a lui non è concesso. A lui non è concesso perché ha la fedina penale sporca e rientra in quei reati che provocano l’esclusione.

Non assegnare il Rdc a chi è stato condannato è un incentivo a delinquere

Premesso che il Rdc andrebbe migliorato, e andrebbero potenziati la formazione professionale e la possibilità di accedere a nuovi lavori, non assegnarlo a chi ha avuto problemi giudiziari rappresenta un incentivo a delinquere e stride con la natura rieducativa della pena, secondo i dettami della nostra Costituzione. Viene infatti escluso dal reddito di cittadinanza chi ha commesso reati giudicati gravi e che sia stato condannato in via definitiva. E, accanto a reati come il terrorismo e l’associazione a delinquere di stampa mafioso, troviamo pure l’omessa comunicazione della modifica dello stato occupazionale o reddituale personale o della famiglia.

È previsto pure il provvedimento di sospensione in caso di misure cautelari sopravvenute. Di conseguenza anche chi non è condannato in via definitiva, ma è sottoposto a tale misura, in carcere o ai domiciliari, perde questo tipo di sostegno.

Se è una tutela sociale contro la povertà, appare incomprensibile la distinzione tra poveri “puri” e poveri “colpevoli”

Ma il quesito di fondo è questo: una volta scontata la pena e pagato il debito con la giustizia, perché l’ex terrorista, ad esempio, non può, in attesa di un reinserimento pieno nella società, usufruire di un piccolo aiuto da parte dello Stato?

In linea con queste riflessioni è quanto scrive su Facebook l’avvocato messinese Nicola Bozzo: “Leggo da più parti in Italia mirabolanti operazioni di Guardia di finanza sui furbetti del reddito di cittadinanza. Leggendo meglio si tratta di persone che avevano omesso alcuni provvedimenti di detenzione domiciliare o in comunità terapeutiche. Considerato che la legge esclude l’estensione del reddito ai delinquenti e considerato che si tratta di una tutela sociale contro la povertà e di ultima istanza, è incomprensibile la distinzione tra poveri puri e poveri colpevoli. Dispiace anche che la Corte costituzionale abbia ritenuto legittima questa assurda discriminazione. Peraltro io, a differenza di tante autorità accademiche, penso che la giustizia sociale in larga parte passi dalla deliberazione democratica dei cittadini (ove ci fosse) e non da corti e tribunali. Così è stato nella storia”.

Un diritto fondamentale della persona e non solo una misura di sostegno alle politiche attive del lavoro

La recente sentenza della Corte costituzionale ha potuto avallare queste restrizioni in linea con l’idea che il Rdc sia una misura di sostegno alle politiche attive del lavoro. E non un diritto fondamentale della persona, in coerenza con la dignità della persona. Osserva sempre Bozzo: “In questi anni si è affermata l’idea neoliberista della povertà come colpa e anche il modo d’approcciarsi al Rdc ha risentito di questa filosofia di fondo”.

Da qui la scelta di toglierlo in determinati casi. Gli aspetti sociali e legati al reinserimento in società di chi è stato condannato sono rimasti drammaticamente fuori.