Parte il progetto Aipd per far entrare nel mondo del lavoro gli affetti da sindrome di down

Creare lavoro attraverso la formazione di operatori specializzati negli inserimenti lavorativi, aumentare la consapevolezza delle persone con sindrome di Down sulle proprie potenzialità di futuri lavoratori e sensibilizzare le aziende presenti sul territorio. È questo l’obiettivo del progetto “Lavoriamo in rete – percorsi di inserimento lavorativo nei territori del Sud”, realizzato dall’Associazione Italiana Persone Down e finanziato dalla Fondazione Con il Sud.

Il progetto coinvolge tredici operatori e tredici sezioni Aipd (trentacinque persone con sindrome Down e trentacinque famiglie), sei regioni nel Sud Italia e le due Isole (Bari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Foggia, Lecce, Matera, Milazzo-Messina, Napoli, Oristano, Potenza, Reggio Calabria, Termini Imerese). In particolare nella sezione di Milazzo-Messina, saranno coinvolti tre ragazzi e un operatore.

Il progetto AIPD e Fondazione CON IL SUD prevede consulenza, informazione e formazione in presenza e a distanza, azioni di sensibilizzazione del mondo aziendale/istituzionale e monitoraggio e tutoraggio in situazione, l’avvio di nuovi servizi di inserimento lavorativo presso le sezioni che ne sono sprovviste. Sarà poi creato un database online di raccolta dati dei potenziali lavoratori e delle aziende dei territori coinvolti.

“Queste azioni – ci spiega Monica Berarducci, responsabile dell’Osservatorio sul mondo del Lavoro di AIPD e ideatrice del progetto – coinvolgeranno direttamente le organizzazioni partecipanti rendendole protagoniste, con l’obiettivo di potenziare la rete delle sedi AIPD presenti nel Sud e le Isole e creare poli regionali per l’impiego, scardinando il pregiudizio che consiste nel pensare che l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome Down sia solo un’opportunità occupazionale o terapeutica, quindi un peso per l’impresa e non un contributo alla produttività aziendale”. “Importante sarà- termina la Berarducci- anche il lavoro sulle famiglie, che per prime concepiscono ancora il proprio figlio come un bambino o il suo inserimento lavorativo come un modo per occupare il tempo, con un atteggiamento assistenziale ed iperprotettivo che limita l’acquisizione dell’identità adulta/lavorativa e l’emancipazione in generale”.