Delitto di Camaro, chi ha sparato voleva uccidere. I particolari: l’omertà e la vendetta

Saranno interrogati oggi il ventiduenne Rosario Maccari ed Giovanni D'Arrigo, 39 anni. I due compariranno davanti al Giudice per le indagini Maria Teresa Arena per difendersi dall'accusa di favoreggiamento di omicidio, e sceglieranno se rispondere o avvalersi della facoltà di non rispondere.

Entrambi hanno detto agli investigatori di non sapere nulla di utile sull'omicidio di Giuseppe De Francesco. Invece le molte telecamere presenti in zona li hanno immortalati sul posto, nei minuti caldi in cui si é consumata la tragedia. Di più: uno di loro, D'Arrigo, era alla guida del motorino a bordo del quale ha sfrecciato l'assassino, armato della pistola adoperata per freddare il figliastro ventenne di Giovanni Tortorella, in carcere per scontare una condanna definitiva per associazione mafiosa – è stato arrestato qualche giorno prima del delitto. Maccari, detto "papa nero", aveva invece sul motorino De Francesco ferito: il ragazzo è caduto dal due ruote ed è stato caricato sull'auto di un passante, forse ignaro di tutto, che lo ha portato all'ospedale Piemonte. Anche questa scena è stata ripresa dall'inizio alla fine. La procura contesta loro anche l'aggravante di aver agevolato l'associazione mafiosa, aggravante "cassata" perô dal giudice che ha firmato il provvedimento cautelare.

E' invece ricercato per omicidio premeditato aggravato dall'appartenenza alla mafia quello che è stato individuato come l'autore del delitto. Per il giudice non ci sono dubbi che abbia sparato per uccidere e che non si sia trattato di una gambizzazione finita male. Intanto perché girava armato, poi perché ha sparato un primo colpo alla coscia del ventenne ma, non contento, lo ha rincorso per sparargliene un altro, mentre De Francesco scappava. Proprio questo secondo colpo, trapassando prima l'anca poi il polmone destro, non gli ha lasciato scampo.

Gli investigatori hanno peró ricostruito diversi episodi precedenti, tutte le "acredini" tra il giovane figliastro di Tortorella e la famiglia del presunto assassino. Come quando, un mese fa, in occasione del funerale di un ragazzo spirato in ambulanza dopo una gambizzazione, De Francesco aveva imposto la serrata ai commercianti di San Paolo. Imposizione non piaciuta al presunto killer e neppure al figlio ed al nipote. Il precedente pestaggio del figlio da parte del ventenne, poi, è un altro dei motivi per i quali il commerciante covava risentimento nei confronti del ventenne.

Tutti e tre, infine, sono stati inequivocabilmente immortalati dalle telecamere a litigare animatamente, pochi minuti prima del delitto, di fronte al bar del sospettato, un pregiudicato vicino al clan Ventura, giá condannato come appartenente al clan Sparacio. Secondo gli investigatori, il quarantaseienne è ancora un uomo di mafia. L'ultimo a puntare il dito contro di lui è stato l'ex pezzo da 90 della zona sud pentito, Daniele Santovito, che nel 2014 lo ha indicato come uomo del clan di zona appunto. Quando i carabinieri sono andati per sottoporlo a fermo, l'uomo era già uccel di bosco. Sulle sue mani gli investigatori hanno usato il guanto di paraffina, alla ricerca di tracce di polvere da sparo. Portato in caserma per l'esame stub, l'assassino ha detto "i figli non si toccano". Una frase che gli inquirenti associano al pestaggio del figlio del pregiudicato, la scintilla che avrebbe fatto traboccare il vaso scatenando l'ira del quarantaseienne nei confronti di De Francesco.

Non ci sono soltanto le immagini delle telecamere; gli investigatori hanno infatti piazzato le loro "orecchie" a Camaro, dove è in corso un'altra indagine, e intercettando le persone attualmente sotto la loro lente hanno sentito le conversazioni relative all'omicidio del 9 aprile. Qualcuno commenta con "eh va compare era sicuro va, questa volta ha "ntruzzato con uno duro di qua, troppo duro".

Tutti, sia i testimoni che quelli che ne parlano per telefono, dipingono la vittima come una "persona non bella", un violento che si era distinto per aver sfregiato un uomo in discoteca, poi per aver usato il coltello contro uno straniero. Poi avrebbe cominciato a dare fastidio anche a figli e nipoti anche dei potenti della zona. E questo gli è costato la vita.

Le 22 pagine con le quali il Giudice pone ai domiciliari Maccari e D'Arrigo, entrambi pluripregiudicati, fotografano il clima di omertà che ha caratterizzato l'omicidio: tutti hanno negato di aver visto sparare, di aver visto De Francesco cadere a terra. Eppure le telecamere hanno immortalato praticamente tutto di quei 15 minuti di terrore – ad eccezione degli spari, avvenuti in una traversa "cieca" di via Gerobino Pilli – ed é evidente che in tanti c'erano, quella mattina.

Un clima di omertá dovuto alla potenza che il clan ha ancora, su Camaro, e una mentalitá mafiosa che ancora impera, e domina anche i giovanissimi. "E se io sapevo chi è lo dicevo a lei? Io lo ammazzo, gliel'ho detto alla Questura. Se so chi è, gliel'ho detto li ammazzo io, a me uno a loro due, a loro tre, Devono provare il mio stesso dolore. L'ho detto a tutti, pure alla Questura l'ho detto. A me uno, a loro stermino tutta la famiglia. Gliela stermino tutta". Così ha risposto il fratello minore della vittima al magistrato che gli chiedeva se conoscesse il nome dell'assassino.

Alessandra Serio