La distanza tra gli spot e i fatti: porte aperte all’Amam “a casa capi quantu voli u patruni”

Pochi giorni fa, alla notizia che da settembre gli asili nido comunali saranno a pagamento per tutti, anche per chi ha redditi minimi (e che dovrà sborsare la bellezza di 90 euro al mese) pensavo alla distanza che intercorre tra gli spot e la realtà. La giunta che voleva stare al fianco degli ultimi,per applicare il Piano di riequilibrio (e quindi pagare milioni di euro ai maxi creditori) ha dovuto,così come prevede la normativa aumentare le tariffe per i prossimi 10 anni, e dovendo coprire i costi della gestione dei servizi a copertura individuale, ha di fatto “scaricato” sul basso, sulle famiglie con redditi minimi, i costi. La fascia più bassa dovrà pagare 90 euro al mese (per un totale di mille euro l’anno), la fascia media 180 euro,gli altri 270. Stiamo parlando di asili nido comunali,non di strutture private. Peccato, se l’amministrazione e l’assessore Mantineo a gennaio avessero ricordato di presentare istanza in tempo al progetto,e non un giorno dopo la scadenza, quegli 80 mila euro che abbiamo perso e destinati agli asili nido ci sarebbero stati utili per attutire il colpo alle famiglie. Quei 90 euro al mese richieste alle famiglie “ultime” rappresentano la distanza tra gli annunci elettorali e la realtà. Sia gli annunci fatti in campagna elettorale riguardo ai servizi sociali che al dissesto, sono lontanissimi rispetto alla realtà. Le tariffe schizzano alle stelle per via di una scelta politica: il piano di riequilibrio, scelta che comporta a catena tutta una serie di altre decisioni che cambieranno le sorti della città per 10 anni. Ed appare assai bizzarro che la distanza tra spot e fatti sia diventata abissale in due anni. Quando l’allora candidato-assessore Mantineo nella primavera del 2013 tuonava “i servizi sociali sono all’anno zero” e annunciava misure di “sostegno per le donne sole e le donne lavoratrici, asili nido,luoghi di gioco,lettura ed animazione, anche attraverso convenzioni con organizzazioni di volontari,associazioni di famiglie e cooperative sociali giovanili” non avrebbe immaginato che avrebbe preso provvedimenti totalmente diversi. Quando Accorinti, il 31 maggio tuonava “il default è nei fatti, dichiarato o meno è solo questione di tempo. Questo default non è una calamità naturale, l’hanno provocato le amministrazioni che hanno governato e sperperato senza un briciolo di saggezza”, non avrebbe immaginato che, appena pochi giorni dopo,in seguito all’incontro con Croce che invitava i candidati sindaco a valutare la dichiarazione di dissesto, avrebbe cambiato idea e poi,nei mesi a seguire sarebbe diventato il paladino di un Piano di riequilibrio pluriennale tra il fantasioso e il terrificante.

Ma a proposito di spot mi sono ricordata del papà della strategia degli annunci, quel Silvio Berlusconi che tappezzò l’Italia con il manifesto: “Un milione di posti di lavoro”. Sappiamo tutti come è finita, l’ottimismo dei candidati è legittimo, i fatti sono un’altra cosa. Vi chiederete perché mi sono ricordata del manifesto. Bè, me lo hanno fatto ricordare le porte aperte all’Amam ed il fatto che per la giunta l’azienda acquedotti stia per diventare una sorta di ufficio di collocamento e senza bisogno di quelle cose superflue e fastidiose chiamate concorsi. E non possiamo contestarlo, perché quel che per quellicheceranoprima era clientelismo, per questa giunta diventa odore di santità. Che poi sia fattibile è un’altra cosa. Ma torniamo a Berlusconi. Secondo me ci credeva davvero ed era il suo sogno dare un milione di posti di lavoro. Il “come farlo” non è dettaglio da poco, perché sarebbe bello se il posto pubblico diventasse la manna per tutti. Messina è in default, diceva Accorinti, e aveva ragione, dichiarato o meno è questione di poco e le partecipate fanno acqua da tutte le parti accumulando debiti da paura. L’unica che “non fa acqua”,paradossalmente è l’Azienda acquedotto, che se la cavicchia,anche se i revisori da tempo hanno lanciato l’allarme sui conti. L’amministrazione cosa fa? Nel Piano di riequilibrio annuncia: l’Amam produrrà annualmente profitti per 2 milioni e 700 mila euro (pari a 23 milioni in 9 anni), e già questo potrebbe far pensare che Signorino sia uno sfegatato ottimista o pensi di essere Gastone che tutto quello che tocca diventa fortuna. Poi,noncuranti che il Piano qualcuno che sa “di conti e bilanci” prima o poi lo leggerà con attenzione,pensano bene di riempirla di personale, comportamento questo che quando lo facevano altri era vizio deprecabile, oggi si chiama virtù. I primi per i quali le porte dell’Amam si spalancano sono gli ex Feluca ( non è un caso, la radice di questa scelta risale al periodo del ballottaggio). Il presidente dell’Amam Anastasi, mentre i revisori continuano a lanciare segnali di fumo, plaude entusiasta. La Corte dei conti non la pensa così ed infatti lo scrive in una nota e spiega anche i motivi. Nel frattempo l’amministrazione ci ha preso gusto, e apre un altro po’ le porte, basandosi sempre su un’interpretazione sui generis del concetto di mobilità tra partecipate. Strada facendo decide di far transitare dal 30 giugno anche gli oltre 500 di Messinambiente, e già che c’è annuncia anche lo stesso (sia pure a tempo determinato) per gli ex Agrinova che a naso proprio provenienti da una partecipata non sono. A questo punto si attendono solo gli ex Ato 3 (poco più di 50) e il gioco è fatto. Ovviamente ci sono altri lavoratori che protestano o si apprestano a farlo, da quelli del progetto Mistral ai letturisti, dagli Agrinova esclusi a quanti, ad esempio fanno parte del progetto Caldaia sicura, passando per ex Cea,Maggioli e precari di vari settori. Se il criterio è questo non si capisce perché lasciare fuori i vincitori del concorso per i vigili urbani (peraltro sarebbero gli unici ad avere sostenuto un concorso) i lavoratori delle cooperative, etc etc. Al di là del fatto che il presidente Anastasi non batterà ciglio neanche stavolta le perplessità riguardano la fattibilità di questa strategia. A questo punto viene da chiedersi se un’Amam diventata la mamma di tutti i lavoratori potrà mai produrre un profitto di 2 milioni e 700 mila euro l’anno….e non invece stramazzare al suolo in meno di sette mesi. D’accordo che,come diciamo in Sicilia: “a casa capi quantu voli u patruni” ma ci vuole davvero fantasia a trasformare un bilocale in Ostello della gioventù. Come si può sostenere un Piano di riequilibrio su queste basi?

L’amministrazione può sostenerlo eccome. Per una serie di motivi. I consiglieri non si azzarderanno a protestare per evitare di trovarsi dietro la porta i lavoratori (alcuni dei consiglieri invece alzeranno la posta per inserire quelli a loro più vicini). Sappiamo tutti che prima o poi lo stop arriverà, se non dalla realtà dei fatti economici, dalla Corte dei Conti o dal Ministero. Nessuno ha detto a Berlusconi che un milione di posti di lavoro erano un sogno entusiasta. Poi la realtà ha dimostrato la distanza con lo spot. Ma nel frattempo lui ha governato per 20 anni. L’Amam come soluzione di tutti i problemi occupazionali, per quanto difficilmente sostenibile, diventa uno spottone. Supponiamo che il progetto Porte aperte all’Amam (come la pubblicità porte aperte alla Renault) passi sotto sia in Aula che sotto il profilo giuridico e venga deciso “l’omicidio premeditato” dell’unica azienda ancora in vita. Supponiamo che,come Signorino si augura (contando anche sui buoni auspici e le buone parole messe dall’ex ministro Gianpiero D’Alia e dal deputato Enzo Garofalo) il Piano di riequilibrio ottenga il sì del Ministero e quindi Messina acceda al Fondo di rotazione. Se ci sono falle non verranno a galla prima di un anno, e sarà la Corte dei conti a farle emergere. Le conseguenze saranno devastanti perché si andranno ad aggiungere ai 3 anni che sono stati impiegati per dilazionare il dissesto. Ma c’è un ma. La giunta che voleva Cambiare Messina, ha deciso invece di cambiare strategia rispetto al 2013, e si è trasformata nella migliore alleata di quellcheceranoprima. Se il Piano di riequilibrio viene approvato di fatto fa due regali: paga i maxicreditori (che otterranno il 70% della fetta complessiva) e evita a quellicheceranoprima il procedimento per responsabilità amministrativa. Se il Piano di riequilibrio ha il via libera del Ministero ma viene stoppato dalla Corte dei conti, l’unico regalo che la giunta avrà fatto sarà a quellicheceranoprima (che come si dice in gergo la “scamperanno quasi tutti”) perché nel frattempo saranno trascorsi i 5 anni dall’avvio del procedimento di responsabilità. Salva gran parte di loro ma fa harakiri perché alla Corte dei conti ed alla magistratura dovrà spiegare il perché ha dilazionato o dissimulato lo stato di default. Diciamolo, Accorinti e Signorino sono talmente buoni che a Babbo Natale neanche lo vedono e dopo aver detto nel 2013 che quellidiprima “hanno sperperato e amministrato senza un briciolo di saggezza”, apparecchiano per loro la tavola della maxisanatoria.

Rosaria Brancato