Operazione Default: dallo schema Ponzi al sistema Lo Castro, i segreti dei professionisti messinesi

Operazione Default: dallo schema Ponzi al sistema Lo Castro, i segreti dei professionisti messinesi

Alessandra Serio

Operazione Default: dallo schema Ponzi al sistema Lo Castro, i segreti dei professionisti messinesi

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lunedì 04 Febbraio 2019 - 17:24

Tutti i dettagli dell'inchiesta della Guardia di Finanza sulla cricca di professionisti che lucrava sulla vita delle imprese.

Le cimici ben piazzate dagli investigatori nel “santuario” di corso Cavour e sulle linee telefoniche del titolare, l’avvocato Andrea Lo Castro, portano ad ulteriori sviluppi d’inchiesta.

Stamane il legale d’affari è tornato in carcere, dopo 19 mesi di domiciliari. A bussare alla sua porta sono stati gli uomini del GiCo della Guardia di Finanza, ai comandi del colonnello Jose Pace, che era già “inciampato” in Lo Castro indagando sui fallimenti di note imprese cittadine, dall’impero del costruttore Carlo Borella alla Italgeo di Giuseppe Barbera, entrambi già presidenti dell’Associazione costruttori di Messina. I finanzieri hanno accompagnato in carcere anche il commercialista Benedetto Panarello, anche lui coinvolto in un’altra tranche di inchiesta sulla parabola delle imprese di Borella. L’inchiesta svela che il rapporto tra i due professionisti non era occasionale, ma i due lavoravano insieme – con altri soggetti – tenendo in piedi un vero e proprio sistema.

A firmare il provvedimento è stato il Gip Maria Vermiglio, su richiesta del sostituto procuratore Francesco Massara, che li accusa di associazione a delinquere finalizzata a una lunga serie di reati finanziari, dall’evasione fiscale alla bancarotta fraudolenta, passando per il riciclaggio e l’autoriciclaggio. Insieme ad un altro nome non nuovo alle cronache giudiziarie, l’avvocato immobiliarista Francesco Bagnato – al quale sono stati concessi i domiciliari – avrebbero costituito una vera e propria “ “cricca” specializzata nel pilotare la vita delle società “decotte” per salvarne parte del patrimonio, soprattutto immobiliare, e intascarne una buona parte personalmente. Prima come consulenti, poi inserendosi in prima persona come soci – a volte attraverso meri prestanome – i professionisti riuscivano a sottrarre ai creditori somme e possedimenti delle imprese in difficoltà.

LO SCHEMA LO CASTRO

Uno schema vero e proprio, quello scoperto dagli investigatori, che hanno individuato i protagonisti di tre diverse vicende che hanno visto impegnati “il gatto e la volpe” di via Cavour. Un sistema di “fare impresa alla messinese”, intervenendo con escamotage più o meno legali per evadere il Fisco, non pagare i creditori, aggirare le leggi, messo in piedi da professionisti che così lucravano sugli stessi imprenditori dei quali sovente decretavano le fortune prima e la “morte” dopo.

TUTTI I NOMI

Tra queste, una legata ad una fetta di storia di Messina, l’acquisizione all’asta e il successivo passaggio di mano dell’immobile della cortina del Porto che ospitò il Jolly Hotel. Insieme a Bagnato, sono andati ai domiciliari lo stesso Barbera e Orazio Oteri, 49 anni, residente a Fondo Fucile, una sorta di “longa manus” dell’avvocato Bagnato, interpellato nel caso in cui era necessario “dirimere delle controversie” o come prestanome, al pari di Barbera, di società che andavano liquidate.

Il Gip Vermiglio ha inoltre disposto il divieto di esercitare attività economiche per un anno per gli imprenditori Francesco D’Amico e la moglie Paola Isidori, moglie e marito, ex proprietari del Jolly Hotel. Poi Rocco e Annunziatino Foti, di Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria; Francesco Rocco, Ottavio e Gaetano Ferrara, di Policoro in provincia di Matera; Elena Zippo di Milazzo, Vincenzo e Bruno Laganà di Motta San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, il bresciano Pompeo Vincenzo Bava, residente a Milano.

I SEQUESTRI

Sotto sequestro sono finiti il Grand Hotel Terme di Chianciano, Hotel Italia di Chianciano e il Palazzo di Leonina, della famiglia D’Amico, un fabbricato nella zona industriale e un terreno di Pace del Mela, il fabbricato di via La Farina n. 144 a Messina, un edificio e il terreno intorno di contrada Lazzaro a Motta San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, altri terreni nello stesso comune, i rami d’azienda della Baden Sr, la Consoter srl, Italiana Immobiliare, somme in contanti – circa 286 mila euro e poco meno di 250 mila, sui conti della B&M e della 2B presso la Banca di Credito Peloritano.

Le accuse messe nero su bianco, contestate a vario titolo, sono di associazione per delinquere dedita alla commissione di reati di bancarotta, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, riciclaggio e auto-riciclaggio, falso ideologico in atto pubblico ed appropriazione indebita.

LA PARABOLA D’AMICO

Con l’operazione di oggi, tornano agli onori della cronaca i D’Amico, già sotto la lente degli investigatori ormai molti anni fa per una spericolata operazione di Lo Castro, con la società Spida dei D’Amico. Sullo sfondo, il tentativo di una speculazione edilizia nei terreni dove vennero alla luce i resti di Villa Melania. Oggi gli scavi sono scarsamente fruibili, la prima impresa dei D’Amico decotta, l’inchiesta finita a tarallucci e vino. La collaborazione di Lo Castro e dei D’Amico, però, non era evidentemente terminata.

C’è proprio il professionista, che compare direttamente, nell’asta per l’acquisto/vendita del Jolly Hotel, dopo il fallimento della sigla degli imprenditori messinesi, nel frattempo trasferiti tra Montecatini e Chianciano Terme, dove gestiscono le attività alberghiere oggi in parte sequestrate.

Con la Baden dei D’Amico, Lo Castro e Panarello avrebbero messo in campo uno schema molto simile a quello già operato per la Else di Borella. Nel 2014 la Baden intestata alla Isidori è in difficoltà – verrà dichiarata fallita il 19 luglio 2017 dal Tribunale di Messina – e lo Castro “scinde” l’attivo e il passivo – poco meno di 5 milioni di euro – trasferendo soltanto l’attivo ad una nuova società, la Capital srl, intestata alla stessa Isidori. Il tutto in fretta, lontano da Messina, al riparo da eventuali soci creditori.

Nel 2016 D’Amico e la moglie cedono le quote di quel che resta della Baden – in sostanza soltanto i debiti, a cominciare da un milione e mezzo di euro di debiti tributari – a Orazio Oteri, che dovrebbe operare come liquidatore. Anche qui in fretta, per ostacolare i creditori. Due mesi dopo, il residuo ramo d’azienda della Baden viene trasferito alla GFG & Partners dello stesso D’Amico. Nel frattempo, nel 2015, la Capital viene trasferita al 100% a Lo Castro.

I SEGRETI DEL SISTEMA, COME USO LA LEGGE PER AGGIRARLA

Per “blindare” i patrimoni delle società, Lo Castro e la “cricca” mettevano in pratica diversi espedienti. Ad esempio intentando cause pretestuose ai creditori, per esempio denunciando per anatocismo la banca che vantava i crediti da quella società. Quando il creditore era il Fisco, invece, chiedevano la rateizzazione del debito, e nel frattempo “uccidevano” o smembravano la società, pagando soltanto le rate in scadenza prima della chiusura della società stessa. In più, attraverso terzi soggetti compiacenti, sempre loro chiedevano la trascrizione di promesse di vendita di immobili, presentando contratti costruiti ad arte e retrodatati, così da bloccare l’eventuale sequestro di tali immobili.

“Oh, perfetto, ma se io su tutti i suoi beni le metto una trascrizione, cioè io sui suoi beni posso fare un atto di citazione simulato, tipo Ilacqua (uno dei presenti) ti fa causa e dice che lei aveva promesso di vendere i suoi beni, non glieli ha trasferiti, e lei fa causa col trasferimento, cito a lei e trascrivo. Quando lei non paga poi la banca a lei beni non gliene trova più, perché c’è la trascrizione. Io questa trascrizione, ascolti a me, gliela tengo in piedi…ascolti a me c’è un’altra finezza. Non è che lei si è venduto i beni a Ilaqua che è un pazzo che gli ha fatto la trascrizione, perché lei alla banca gli dice, senta io a quel pazzo c’era un preliminare di 20 anni fa che era scaduto, giusto ? E lei si difende.. e io lo trascrivo con la trascrizione, ai fini fiscali, io trascrivo alla Conservatoria quindi la banca non può pignorare,non può sequestrare perché c’è una trascrizione..come ad esempio un’altra cosa che io spesso faccio, inizio delle cause, quando c’è tipo con le banche che ho tanti giudizi, esteri, la banca in genere chiude il conto, presenta il ricorso al Tribunale e ottiene il decreto ingiuntivo giusto?Ma se io prima che la banca si muove faccio causa alla banca, la banca per legge non può più chiedere il decreto ingiuntivo, perché deve aspettare che finisce la causa, chiudo anche le società, le società le chiudo, dopo un anno dalla chiusura non possono fallire per legge, la banca non trova più niente, quand’io finisce il tempo la banca non ha più niente.”. Così nel marzo 2016 Lo Castro istruiva un cliente sul “sistema”.

L’ASTA DEL JOLLY HOTEL

L’inchiesta della Finanza nasce proprio dall’asta per l’ex sede del Jolly Hotel, procedura cominciata nel 2009. L’immobile venne assegnato pro quota ad Antonino D’Andrea, alla Agaton srl, alla B&B srl, alla Tride Immobiliare e altri soggetti.

Dopo l’assegnazione, le quote della Tride vanno a D’Andrea, alla Agaton, e alla Professional 3D. Analizzando la Tride, i finanzieri si accorgono che la società era stata costituita nel 2013 ed aveva compiuta una unica operazione, quella relativa all’acquisizione del Jolly appunto. I soci poi non avevano la disponibilità finanziaria per tale investimento. Infatti dietro, scoprono gli investigatori, c’era l’avvocato Bagnato, collaboratore di studio di Lo Castro e con lui socio della SICAIMM srl e della 2B srl. Lo Castro, a sua volta, compariva nella SIGA srl, che aveva acquisito la proprietà del Jolly dalla Medea dei D’Amico.

Un commento

  1. Speriamo siano finiti i”tarallucci e vino” che SOLITAMENTE a Messina vengono elargiti e consumati a profusione.

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