La mafia a Camaro S. Paolo, l’ascesa di Carmelo Ventura e le estorsioni allo stadio San Filippo

"Uno dei più carismatici ed autorevoli capimafia della città" di Messina con un tale "prestigio criminale da poter imporre nuove assetti di potere". Astuto tanto da riuscire a "non esporsi mai in prima persona" ed anzi rafforzare il suo potere anche durante il periodo di detenzione in carcere. Con queste parole il Gip tratteggia la figura di Carmelo Ventura, capo clan indiscusso del quartiere di Camaro San Paolo, nome eccellente dell'Operazione Matassa che stamattina ha condotto all'arresto di 35 persone.

La sua escalation ebbe inizio negli anni '80, quando ancora era considerato un killer vicinissimo al clan Leo. Già allora il suo carisma criminale lo aveva aiutato a risalire, passo passo, tutta la scala gerarchica arrivando fino ai vertici. Negli anni, Carmelo Ventura è riuscito a togliere le vesti di affiliato al clan Leo creando un proprio gruppo criminale, talmente forte da controllare l'intera zona di Camaro e stringere alleanze stabilissime con gli altri gruppi mafiosi di Messina. A confermarlo sono state le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, tra cui Gaetano Barbera, Salvatore Centorrino, Francesco d'Agostino, Francesco Comandè, Daniele Santovito e Massimo Burrascano.

Nelle quasi 400 pagine di ordinanza, le figure di Carmelo Ventura, del suo clan, delle attività estorsive, del traffico di droga, dei legami con i capi clan Gatto e Spartà e delle alleanze con il clan di Ferrante sono tratteggiata nei minimi dettagli. La storica triade Gatto-Ventura-Spartà era capace di gestire i più grossi affari illeciti della città e, al contempo, di estromettere qualsiasi gruppo emergente. Le massime attività erano quelle che ruotavano nel campo delle estorsioni e dello spaccio di droga.

Tra gli obiettivi della triade c’erano imprenditori, attività commerciali, cantieri e perfino il Policlinico Universitario. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è poi emersa una vera e propria "gestione” mafiosa dello stadio San Filippo. Non solo riscossione del pizzo tra tutti i gazebo che vendevano bevande e cibo (però ogni gazebo dai 100 ai 150 euro) ma anche pressioni sulla distribuzione dei biglietti e servizi di vigilanza. L'organizzazione dell'evento sportivo, infatti, era costretta a dare, per ogni partita, 120 biglietti gratis. Tutte le somme e i ticket venivano poi messi in una cassa comune e ripartiti tra i gruppi.

Tra le attività illecite controllate dai clan c'erano anche le bische clandestine organizzate in diverse zone della città. Quella di Ventura, ad esempio, si teneva in una villa ad Acqualadrone e solitamente il ricavato sfiorava i 100mila euro. Il potere di Ventura, però, si estendeva anche oltre fino ad arrivare al campo medico. Il capo clan, infatti, era in grado di far scrivere a medici compiacenti referti falsi per far ottenere benefici detentivi ai suoi affiliati (ad esempio a quelli che si trovavano ai domiciliari e che, con un falso documento, vi sarebbero potuti rimanere invece di finire in carcere). “Sempre là al Policlinico, ora diglielo a Carmelo di andare là e chiamare a questo e di dirgli di segnare tutti i controlli che mi devo fare e di farmi sapere quand’è… così uno lo sa e li chiama…”, si legge in un’intercettazione.

Insomma, niente si muoveva a Camaro senza il placet del capo clan ventura. Anche il gruppo criminale facente capo a Santi Ferrante (attivo nello stesso quartiere) gestiva i suoi traffici in stretto rapporto con Ventura, che aveva comunque un ruolo dominante. I tentacoli del "Capo dei Capi" messinese arrivavano anche nella zona di Santa Lucia Sopra Contesse, storicamente in mano al clan di Giacomo Spartà, con cui vi erano equilibri stabilissimi. (Veronica Crocitti)