IL PD, GENOVESE E I SEPOLCRI IMBIANCATI

Ne Il Sofista, Platone, in uno dei passaggi iniziali, fa dire a Socrate queste parole: «Comunque anche questo genere d’uomini può darsi non sia, se così si può dire, molto più facile a ravvisare del genere stesso degli dèi; sotto sembianze d’ogni sorta infatti, quali all’ignoranza degli altri appaiono, “vanno intorno di città in città”, i filosofi veri, dico, non quelli tali per finzione, e dall’alto osservano la vita di chi in basso vive, e mentre agli uni sembrano privi di ogni valore, agli altri sembrano d’ogni valore ricolmi, ed ora appaiono politici, ora sofisti e può anche accadere che ad alcuno ingenerino la opinione di essere completamente folli». Citare Il Sofista serve a comprendere il giudizio che i semplici cittadini, come chi scrive, si stanno facendo attorno alla questione “PD partito a conduzione familiare sì, PD a conduzione familiare no”: appunto follia!
Veniamo al dunque: qual è il problema? La mancanza di democrazia all’interno del PD cittadino? Bene, allora una domanda corre d’obbligo: quale sarà mai il livello di democrazia nel PD delle città dell’Emilia Romagna, di Firenze, Perugia, Roma, Milano e così via? Immaginiamo già gli estenuanti congressi alla fine dei quali e dopo lunghe e articolate mozioni i compagni eleggono i dirigenti del PD di Siena, tanto per intenderci quelli che poi scelgono gli uomini da piazzare nella Monte dei Paschi di Siena.
Diciamolo chiaramente l’impressione suscitata dal dibattito attorno alla figura di Genovese è quanto di più stucchevole vi possa essere. E ancor più noioso è il dover assistere alle mosse pre-elettorali di un gruppetto di sepolcri imbiancati i quali, caduti nel dimenticatoio della politica, improvvisamente si sono risvegliati illudendosi di poter rientrare nei giochi, magari sfruttando il momento favorevole vissuto dal PD e con la convinzione che senza il loro apporto il mondo è più brutto da vivere. Messi assieme Campione, Providenti, Tarro Celi, Frazzica e Mammola non raggiungono i 500 voti, figuriamoci quanti di più potrebbero ottenerne se il PD fosse rispondente al loro modo d’intendere la democrazia. I Messinesi ancora ricordano i meravigliosi risultati ottenuti da Campione e Providenti quand’erano politicamente in voga. Il secondo tra i due, addirittura, in piena “primavera siciliana”, a differenza di Bianco e Orlando, dopo il primo mandato da sindaco fu mandato a casa a furor di popolo… tanto aveva fatto bene alla città di Messina!
A scanso di equivoci chi scrive non è riconducibile al PD, però è seriamente preoccupato per tutto quanto sta avvenendo in città. Una città che giorno dopo giorno perde i propri punti di riferimento e che non riesce a individuare un punto di svolta che possa farla risorgere e uscire dalla crisi che l’attanaglia. Nella situazione in cui si ritrova Messina ha bisogno di proposte concrete e non certo di beghe di partito; ha bisogno di persone che giocandosi la faccia in prima persona favoriscano lo sviluppo economico della città; ha bisogno di figure in grado di far appassionare nuovamente i cittadini alla cosa pubblica. Di tutto questo nelle rivendicazioni dei bolliti della politica, di cui sopra, non vi è traccia, anzi la richiesta avanzata a Bersani, di commissariare il partito, oggi è quanto di più deleterio vi possa essere considerato che una tale mossa finirebbe per favorire l’ascesa di tutte quelle forze politiche populiste le quali aggraverebbero notevolmente i problemi della città. Richiamare, inoltre, fantomatiche regole di impresentabilità dei candidati significa sancire la definitiva morte della politica, in quanto la politica è consenso. Se veramente questi paladini della democrazia tengono al bene comune avanzino le loro proposte e facciano la loro battaglia secondo le regole della politica e non secondo quelle dettate dal più becero giustizialismo. Se sono capaci e bravi come dicono di essere la gente li seguirà.
Ritornando a Platone, e alla sua opera citata all’inizio, egli ha mostrato l’enorme distanza che vi è tra il filosofo e il sofista. Il primo è colui che rimane nascosto nella luce dell’essere della conoscenza; il secondo, invece, quando «l’anima si slancia verso la verità e resta lontana dal congiungersi con questa», ama vivere nella tenebra del non essere dell’ignoranza. Sta a chi legge capire chi tra Genovese e gli altri è il filosofo e chi invece il sofista. Nicola Currò