teatro

“Patres” Sull’incapacità di talune ascendenze di dare testimonianza di vita.

Per questa edizione della Stagione Teatrale titolata “Riflessioni”, che porta la sigla Clan degli Attori, è andata in scena sabato ( in doppio spettacolo) e domenica u.s. la piece “Patres”, una produzione Scenari Visibili, pluripremiata nel 2014 (Premio contro le mafie del MEI, Secondo premio al Festival Teatrale di Resistenza Museo Cervi, Miglior spettacolo Festival Juventaria 2014) e nel 2018 (Primo Premio Pradella Teatro dei Filodrammatici).

Il mare è di fronte al giovane, che tende le sue mani verso l’ignoto, rappresentato proprio da quel mare infinito, che corrisponde a quell’attesa, e metaforicamente lo soccorre e guida. Un pater che non merita l’attesa filiale, non è all’altezza del ruolo, non ha nulla da testimoniare, è portatore solo di valori che non sono da tramandare, materialistici e retrogradi. Così, quella separazione, che si nutre del desiderio e della nostalgia, è destinata a divenire dolore, a perdersi nel nulla.

l Telemaco di Calabria non riesce a vedere davvero, è simbolicamente cieco ed è stato legato con una corda alla caviglia perché non si perda. Riesce solo a ricordare i momenti di pseudo-intimità con quel genitore che non è certo esemplare, che persegue il sogno delle spiagge esotiche di Santo Domingo, che incita il figlio, diversamente abile a essere uomo, nel senso più primitivo del termine, cercando di avvicinarlo a una bambola di gomma. Eppure, paralizzato, attende ancora quel padre, che è incapace rispetto alla filiazione, non è in grado di tornare a casa e restare.

E così su quella spiaggia di Calabria il figlio resta bloccato a lungo, in cerca di una trasmissione generazionale, che gli è invece negata, non può ereditare nulla, non ha nulla di garantito, deve dunque recuperare quello scarto con il passato, riconquistarlo.

“Patres” in senso lato rimanda a questo momento storico e all’assenza di figure maschili all’altezza, quali padri spirituali, politici, in grado comunque di porsi quali maestri. La scena variopinta, con quei panni stesi, lenzuola, biancheria, i costumi con la camicia rossa del figlio, i suoi piedi nudi, la camicia grigia e i jeans del padre nonostante tutto evocato, la recitazione incisiva di Dario Natale e Gianluca Vetromilo, la regia e lo script drammaturgico,entrambi di Saverio Tavano, ogni componente si è composta generando una convincente mise en scene, straniante e evocativa, emozionale, che è capace di penetrare nella nostra fame di un modello sovente solo supposto tale e non all’altezza del ruolo, e che proprio con riferimento alle ferite della ancestrale e smarrita terra di Calabria appare ancora più significante.