Quel che resta del Pd di Genovese nell’ora della resa dei conti

Un anno fa, marzo 2013, la richiesta di proroga alle indagini sui Corsi d’oro, e di lì a poco le primarie per il candidato sindaco, scandite da divisioni e polemiche. Come quelle piccole crepe sul soffitto, all’inizio “invisibili” ma che pian piano si estendono a ragnatela, allo stesso modo, nel marzo 2013, le crepe nel soffitto del Pd nessuno voleva vederle, né tantomeno intervenire. Un anno dopo, tra inchieste, scandali, le amministrative vissute dalla città come un referendum su Genovese, scontri feroci al’interno del partito, una batosta elettorale divenuta causa di lotte fratricide piuttosto che di invito a riflettere, quelle crepe hanno fatto crollare il soffitto e sul pavimento del Pd cittadino ci sono le macerie di un sistema costruito in sette anni solo sulla forza dei numeri e su una gestione monocratica. Un cerchio magico oltre al quale nessuno è cresciuto, non un delfino, non un numero due all’altezza di prendere in mano l’eredità politica. Solo numeri quattro, cinque e sei. La richiesta di arresto e il ciclone di un’inchiesta che coinvolge gran parte della famiglia e dei fedelissimi lasciano in campo un partito dilaniato che non riuscirà facilmente a trovare l’unità e che rischia la deriva tra tentazioni da piazzale Loreto, liste di proscrizione da un lato e difesa del fortino assediato dall’altro. Senza voler fare prigionieri in entrambe le fazioni.

Per Genovese il capitolo del Pd è finito. Per Renzi il caso Messina è la prima vera grana di tipo giudiziario che gli esploderà in Aula proprio alla vigilia delle Europee ed è certo che il Pd non si farà crocifiggere sulla vicenda. Il partito, attraverso il portavoce della segreteria Lorenzo Guerini e il leader renziano in Sicilia Davide Faraone, ha fatto capire che non farà sconti. In sintesi “se la richiesta d’arresto risulterà legittima voteremo per l’autorizzazione a procedere”. Il Presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere è il siciliano Ignazio La Russa, Fratelli d’Italia mentre relatore del caso è stato nominato Antonio Leone, Ncd. Un anno fa, alla vigilia delle Politiche, infuriarono le polemiche sul parlamentare che alle primarie di dicembre aveva incassato oltre 19 mila preferenze risultando il più votato d’Italia, e che, secondo alcuni, era da inserire tra gli “impresentabili”. La polemica si chiuse lì, ma un anno dopo, i nodi tornano a galla. Se per Genovese il capitolo Pd è finito, resta da capire quale sarà il destino del Pd cittadino. E’ finito anche il capitolo di questo Pd, che, per coincidenze temporali, è stato concepito, partorito e allevato “genovesiano”. Il Pd infatti è nato nel 2007 dalla fusione fredda di Margherita e Ds. E nel 2007 Genovese, eletto sindaco nel dicembre 2005 e rimasto a Palazzo Zanca per quasi due anni, alla nascita del Pd ne diventò il leader naturale e lanciò l’opa sul partito regionale diventandone il primo segretario regionale e determinando anche il segretario successivo. Quello “genovesiano”, per forza di cose è l’unico Pd che Messina ha conosciuto. Genovese è stato, per così dire il Pd messinese, un’identificazione anche fisica, basti pensare alla segreteria del deputato, che ha coinciso con quella del partito. Del resto non esiste nessuno, qualsiasi ruolo abbia oggi, che non sia passato da quella segreteria e dal via libera del leader. Qualsiasi fortuna o sfortuna di un singolo veniva decisa lì. Consigliere di quartiere, di cda, deputato regionale, staff esperto, consulente, posto in lista, assunzione, tutto veniva deciso lì con tempi e rituali ben individuati. Il sistema ha finito inevitabilmente con il riguardare tutti, nessuno escluso, anche chi, con il passare degli anni,è stato emarginato o ha iniziato una battaglia contro. Nel 2001, con la Margherita, Francantonio Genovese è diventato deputato regionale sfiorando i 14 mila voti, riuscendo a costruire con il passare degli anni un serbatoio di voti che poteva spostare a piacimento su chi voleva. Lentamente si è pensato che il sistema fosse l’unico possibile, tutti, come dice un mio collega, hanno finito con il credere che quell’acquario fosse il mare. La forza dei numeri, quelli delle urne e quelli degli oltre 60 circoli, ha finito con il prevalere su qualsiasi altra logica.

Paradossalmente il PD si trova ad affrontare questo terremoto nel pieno caos che riguarda la guida del partito. Quando il soffitto crolla restano solo macerie. Il Pd si trova a dover cercare tra i calcinacci le basi di un Pd altro, in uno dei momenti più difficili della sua breve storia politica. Dalla sconfitta elettorale in poi il partito è stato al centro di una guerra coincisa con la lunga stagione congressuale. C’è un intero partito da ricostruire a Messina e, al di là del dibattito sterile su quanti seguiranno Genovese e quanti resteranno, il problema è quello della “gestione”. Il rischio è che si scateni una caccia alle streghe arrivando a rovistare nei cassetti, recuperare foto in bianco e nero e scambiare il rancore e le vendette per la ricostruzione. Dall’altro lato c’è la necessità di azzerare e rinnovare, ma farlo con lucidità, serenità, senza buttare, come si dice “il bambino con l’acqua sporca”. La segreteria provinciale di Basilio Ridolfo, frutto di un accordo con l’area Genovese, definito dai più una sorta di peccato originale, non regge più l’urto dei fatti. La segreteria cittadina, che fino a pochi giorni fa era destinata ad andare, in virtù della forza dei numeri, ad un genovesiano come Felice Calabrò, è al centro di uno scontro. C’è chi parla di primarie, chi di commissariamento, chi reclama le dimissioni di Ridolfo (che ci sta seriamente pensando). Il segretario regionale Fausto Raciti e il segretario provinciale Ridolfo hanno diffuso un comunicato congiunto che è degno della migliore scuola Dc: “La vicenda che ha coinvolto Francantonio Genovese impone una svolta immediata per il Pd Di Messina che, spingendosi oltre l’analisi politica, compia un primo significativo passo attraverso la verifica dell’azione e degli organismi territoriali del partito. Al di là dell’aspetto giudiziario, nell’ambito del quale auspichiamo che Genovese potrà chiarire la sua posizione, non è possibile sottovalutare la gravità del contesto delineato dagli inquirenti. La nostra attenzione va a tutti quei dirigenti, iscritti ed elettori messinesi che hanno sempre lavorato con passione e impegno per il bene di un partito che, anche a Messina, ha intrapreso un nuovo percorso Soprattutto nei loro confronti è doveroso avviare un confronto che consenta al Pd, sia strutturalmente che politicamente, di ritrovare la serenità per lavorare tutti nel miglior modo possibile”.

Domani, all’Assemblea regionale Pd che sancirà ufficialmente la nuova segreteria Raciti il caso Messina sarà in primo piano. Tra le ipotesi c’è quella del commissariamento. Ma a chi sarà affidato il ruolo per non ricadere nelle stesse vecchie dinamiche? La scorsa estate, dopo la sconfitta elettorale, il Pd venne commissariato dallo stesso segretario regionale Giuseppe Lupo, vicinissimo a Genovese che aveva contribuito anche alla sua elezione alla guida del partito regionale. E Lupo, appena un mese fa, alle primarie regionali, ha ottenuto oltre il 73% a Messina. Un commissario non può essere una delle parti in causa. Dimissioni, commissariamento o primarie che siano, nell’ora della resa dei conti c’è da chiedersi cosa resta del Pd. Oggi solo calcinacci e macerie. C’è chi dice che senza Genovese il Pd messinese tornerà in mano “ai comunisti” ed avrà percentuali da prefisso telefonico. C’è chi replica che un partito non è fatto solo di numeri, soprattutto se i numeri sono figli di un sistema malato.

Rosaria Brancato