A proposito dell’ex Casa del portuale

Quanto accaduto con l’ex Casa del portuale è una vicenda paradossale. Non mi riferisco all’occupazione da parte degli esponenti del Teatro Pinelli, “effetto” di una situazione assurda e non certamente causa. Mi riferisco al fatto che in una città normale non si sappia a chi appartenga un bene che si trova in una delle zone da valorizzare. Non stiamo parlando di una grotta sperduta sui Nebrodi o di un pezzo di deserto nel cuore della provincia, ma di un immobile che si affaccia sullo Stretto. Di questi locali nessuno conosceva l’esistenza fino al 25 aprile quando i pinellini li hanno occupati. Non ricordo una sola interrogazione, né un convegno, né un annuncio al riguardo in passato. A differenza dell’ex Teatro in fiera, abbandonato per 18 anni ma del quale tutti conoscevano l’esistenza in “vita”, anche se preferivano disinteressarsene, dell’ex Casa del portuale se ne sconosceva l’esistenza, l’utilizzo, la destinazione passata e futura. Questa “ignoranza” può essere una scusante per me e per gran parte dei messinesi, ma che le Istituzioni avessero un bene così importante (adesso sembra che sia diventato preziosissimo quel che prima stava a morire sotto il naso di tutti) e ne ignorassero la proprietà è quanto meno singolare. Se un qualsiasi cittadino scoprisse che la sua casetta al mare o il rudere ereditato dal prozio è stato occupato, chiederebbe l’intervento delle forze dell’ordine. In questo caso i presunti legittimi proprietari non sapevano di esserlo e adesso si contendono la proprietà. Quel che stupisce è l’assenza di atti nell’era delle carte e della burocrazia. Non esiste un atto che attesti “senza ombra di dubbio” a chi appartiene. L’atto di vendita a zero lire dall’allora sindaco Fortino alla Regione non si trova. Dall’altra parte l’ex vicesindaco Mondello rivendica la titolarità in base all’inserimento nel Piano di dismissione e al fatto che nessuno ha fatto ricorso. Esistono atti “indiretti” in base ai quali ognuna delle due parti contendenti, Regione e Comune, fa valere la titolarità della proprietà. Se i pinellini non avessero occupato la Casa del portuale, nessuno se ne sarebbe ricordato per altri 50 anni. Per il Teatro in fiera c’era un progetto e c’era il titolare e qualcuno si ricordava persino gli ultimi spettacoli andati in scena. Sulla Casa del portuale c’è il silenzio. Non si sa se rientra ancora nel piano di valorizzazione predisposto dall’ex vice sindaco Mondello (pare sia stato tolto dall’elenco dopo alcuni mesi), la Regione non ne ha più reclamato l’utilizzo da anni. Dal 2008 figura tra i beni del Comune e nessuno ha replicato fino alla scorsa settimana. Lo stesso commissario liquidatore della cooperativa Italia, Placido Matasso ha aspettato 4 mesi dal giorno dell’occupazione per reclamare i locali e lo ha fatto dopo che Mondello ne ha rivendicato la titolarità per il Comune. Al di là dell’appartenenza quel che colpisce della vicenda è esemplare di un metodo di gestione della cosa pubblica. Poiché è pubblica il “pubblico” non ha alcun interesse a tutelarla e valorizzarla. Mi si potrebbe dire, fatti un giro a Maregrosso e hai la prova di quanto interesse il bene comune a chi amministra. Ricordo da quanti anni si parla del recupero e della riqualificazione della zona falcata e di quante visite istituzionali si sono fatte sin dall’epoca Cuffaro per realizzare un Museo, un Polo culturale o qualsiasi altra cosa. Ma nel caso della Casa del portuale è evidente la superficialità e l’incapacità delle istituzioni nella gestione dei propri tesori. Litigare per un edificio e solo “ a babbo morto”, fa capire come venga gestita la cosa comune. Per fare solo un esempio, poteva essere utilizzata per uffici di dipartimento risparmiando i fitti passivi. Invece il patrimonio c’è ma non solo non lo si utilizza, si spendono soldi per pagare altri locali. Doppio spreco. E’ solo uno degli esempi. Supponiamo che, dopo un contenzioso di 42 anni, tempo necessario alla giustizia amministrativa per appurare, tra ricorsi e controricorsi, di chi è l’immobile, si attesti che appartiene alla Regione. Nel frattempo in che condizioni sarà l’immobile? Dubito che tra 42 o 16 anni la Regione o il Comune ci faranno un Museo del mare, un terminal per turisti, un centro commerciale. Perché nel frattempo il degrado sarà tale che ristrutturarla sarà un’impresa e diventerà un esempio di “archeologia industriale”.

L’avvocato Matasso nei giorni scorsi si è presentato con le chiavi per ribadire la proprietà dell’immobile lasciando esterrefatti gli occupanti. Senza dubbio il legale farà valere le sue ragioni giuridiche in tutte le sedi ma la presenza delle chiavi non rappresenta una prova sopra ogni dubbio. E dove erano finite le chiavi in questi 4 mesi di occupazione? Neanche per un attimo mentre la stampa riportava le notizie si è ricordato che quel locale era sotto la sua tutela? Nessuno dal 2008 in poi ha dato un’occhiatina all’elenco dei Beni in dismissioni, per vedere se c’era casa sua e stavano per venderla? Se non siamo in grado neanche di dire “di chi è” come possiamo dire “cosa ci vogliamo fare?” L’aspetto che più mi preoccupa è questo, questa assoluta indifferenza verso la cosa pubblica, questo lasciar trascorrere il tempo senza fare nulla per migliorare la nostra terra, questo appassire tra le carte e i contenziosi, questo rimpallo tra uffici, questo scaricabarile, quest’incapacità di amare il bene comune. Non so a chi appartiene la Casa del portuale, ma dovrebbe essere denunciato per incuria, abbandono “di minore”, inefficienza, spreco di tempo e cecità creativa. Reati probabilmente non contemplati dal nostro codice penale come l’occupazione abusiva, ma che lasciano ferite profonde ed insanabili. Difficile immaginare l’epilogo della vicenda. Temo che gli Enti continueranno ad accapigliarsi per principio e non perché abbiano davvero un progetto (altrimenti l’avrebbero già realizzato), temo che la lite durerà per anni e l’ex Casa resterà quel che è. Magari domani scende in campo pure l’Autorità portuale, o l’Ente Porto, o persino la Provincia, e scopriamo che è stato scovato un bando, una donazione, oppure che è una multiproprietà, come alcune formule per le vacanze, con gli acquirenti che ne possono usufruire due settimane l’anno. Mi piacerebbe che domani spuntasse un uomo di mare nerboruto, con un testamento ingiallito dal tempo firmato dal “portuale” e dicesse, è casa mia. Sono io l’ex portuale della Casa. E poi la donasse a chi vuole, alla città, agli occupanti, alle giovani marmotte,ai figli dei fiori, alla Caritas, ad una fondazione culturale, ma non ad un ente pubblico. Forse sì, avrebbe il destino migliore.

Rosaria Brancato