Tremonti: -Non c’ è futuro per l’ Italia se non c’ è futuro per il Sud. Ed è questa la missione che sento più profondamente-.

E’ sincero il Superministro Tremonti quando afferma quanto riportato nel titolo?

Vogliamo credere di si, così come vogliamo credere alla buona fede di Prodi, Berlusconi, Di Pietro e Matteoli quando hanno firmato i programmi dei rispettivi Governi e Ministeri. Però …

Facciamo qualche passo indietro.

Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) è lo strumento che definisce gli obiettivi economici di medio e lungo periodo del Governo. L’Allegato Infrastrutture, in particolare, descrive le grandi opere pubbliche che l’Esecutivo considera strategiche per la crescita del Paese e alle quali assegna la massima priorità.

Leggendo il documento sottoscritto dal Ministro Matteoli e approvato dal Consiglio dei Ministri nel giugno 2008, non si può non apprezzarne la lucida visione generale e l’attendibilità delle tesi sostenute. In insolita e apprezzabile continuità con quelle dei Governi precedenti.

Esso affronta anche un tema mai del tutto risolto: se la parte del Paese da Napoli in giù debba essere considerata una risorsa, fino ad oggi mal utilizzata o una palla al piede per un Centro-Nord progredito e industrioso.

In altre parole, se il denaro pubblico speso nel Mezzogiorno possa diventare un investimento utile per una ripresa diffusa o sia solo uno spreco, un “affare dei Meridionali”; infelice concetto ripetutamente espresso dall’on. Castelli, a malapena giustificabile in bocca ad un Consigliere comunale, molto preoccupante se detto da un Sottosegretario del Governo nazionale.

I DPEF Infrastrutture affrontano l’argomento di petto, presentando, anno dopo anno, e con grande dovizia di dati e motivazioni tecniche ed economiche sostanzialmente la stessa strategia. Secondo la quale, quell’ingombrante protesi d’Europa che è il Sud d’Italia, protesa nel centro del Mediterraneo, può assolvere una funzione fondamentale. Quella di agganciare gli imponenti flussi di merci che, provenendo dall’Estremo Oriente e passando per Suez, percorrono il Corridoio mediterraneo (vedi foto) diretti verso il cuore dell’Europa ricca.

La posizione geografica purtroppo da sola non basta e tocca ai nostri Governi rendere economicamente conveniente per le gigantesche portacontainer scaricare le merci trasportate nei porti italiani. Queste navi, in ossequio al criterio sovrano della riduzione dei costi e dei tempi di trasporto, oggi scaricano a Rotterdam, Marsiglia, Valencia e Barcellona. Perché il tempo risparmiato abbreviando il percorso via mare e sostando nel Sud d’Italia, sarebbe poi ampiamente perduto per la scarsa efficienza e rapidità di consegna a destinazione che i porti del Bel Paese offrono.

Non basta infatti scaricare i container.

Per trarre il massimo vantaggio bisogna che siano aperti e le merci in essi stipate vengano lavorate e portate a destinazione al più presto e secondo le modalità di trasporto più appropriate. Via acqua o via aria e terra, su ferro o gomma.

I vantaggi che derivano da un’esecuzione ottimale di tali operazioni sono descritti benissimo proprio nell’ultimo DPEF: “Un esempio che può aiutare a capire come sia possibile generare valore aggiunto attraverso il rafforzamento territoriale sta nella differenza tra il fatturato generato dalla sola movimentazione di un container e quello prodotto qualora il container venga sdoganato, stoccato, manipolato e distribuito, supportato adeguatamente da una rete infrastrutturale efficiente. Il fatturato passa da 300 a 2.300 € a container, l’utile da 20 a 200 €, il beneficio dello Stato da 110 a 1.000 € e ogni 1.000 unità movimentate, invece di generare 5 unità lavorative, se ne generano 42”.

Tutto ciò è destinato a restare una pia illusione se non si completano urgentemente, fino all’estremo Sud e ad Est verso Bari e Brindisi, i Corridoi transeuropei. Soprattutto quelli ferroviari.

Ma i benefici ottenibili non si fermano qui.

E toccano anche altri punti del territorio attraversato dai grandi assi di trasporto su ferro e gomma. Com’è descritto con linguaggio più tecnico ma altrettanto efficace nel DPEF Infrastrutture del 2007, firmato Di Pietro e approvato dal Governo Prodi. Nel quale si afferma che la realizzazione di efficienti corridoi transeuropei comporterà inevitabilmente lo sviluppo di nodi territoriali transfrontalieri; veri e propri agganci del sistema Paese all’Europa e al bacino del Mediterraneo. Destinati a svilupparsi nel tempo fino a diventare potenti poli di sviluppo locale.

Il Governatore Draghi condivide tale strategia e ha affermato pubblicamente che il nostro Paese può restare agganciato all’Europa solo con il contributo del Sud.

Nelle ultime settimane, poi, è cresciuto il numero di economisti che chiedono immediati e robusti interventi a favore del Mezzogiorno: –Nel medio termine è solo il Sud che può davvero consentire al Paese un balzo in avanti– proclama Sandro Trento, Docente di Economia Università di Trento (Corriere Economia, 19 gen, pag 13); –La verità è che se l’Italia vuole crescere deve sperare che cresca il Sud– afferma il prof. Gianfranco Viesti (Corriere Economia, 26 gennaio, pagg I e III).

Insomma, alcuni tra i migliori cervelli economici sembrano pensarla allo stesso modo. E concordano con quanto suggerito dai tecnici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, sottoscritto dai Ministri e fatto proprio dai Governi.

Da tutti i Governi degli ultimi 10 anni, di destra o di sinistra che fossero.

Per poi non fare nulla.

Senza che una stampa nazionale, sempre disattenta ai problemi del Mezzogiorno, li accusi di schizofrenia programmatica.

Dopo aver perso anni e anni di tempo però, all’orizzonte si profila un pericolo: constatata l’inerzia italiana, si stanno progettando percorsi alternativi che, scendendo dal centro del continente – in spostamento verso Est a causa dell’allargamento dell’Unione – si collegano al bacino del Mediterraneo (prossima grande area di libero scambio). Uno attraverso Slovenia, Croazia, Bosnia, Montenegro e Grecia (vedi Foto nr. 2) e l’altro, ancora più a Est, verso la Turchia.

Se è vero che il rilancio economico è la grande priorità del Paese e che entrambe le coalizioni concordano sui possibili rimedi, perché non si avviano i programmi già approvati da anni e anni? Tremonti manterrà la parola data? E il centro-sinistra si opporrà o sosterrà l’iniziativa?

In altre parole, si muoveranno nell’interesse del Paese o continueranno nelle loro squallide e patetiche schermaglie?