Tentiamo di capire a cosa mirano Genovese e D’Alia

Sono un Messinese pieno di dubbi sul modo in cui procede l’iter di costruzione del Ponte sullo Stretto. Leggo dell’impegno del senatore D’Alia e dell’on. Genovese nel bloccarlo e di liquidarne la società concessionaria.
Forse, più che di impegno dovrei parlare di missione, in quanto mi sembra di intravvedere nelle loro molteplici iniziative una sorta di ossessione.
Infatti, non analizzano né contestano mai i possibili benefici dell’opera, ma li negano apoditticamente, il che mi appare quantomeno sospetto, considerato che ogni area del mondo, nella quale sono state spese somme infinitamente minori, qualche vantaggio l’ha sempre ottenuto.
Questo, certo, i due parlamentari messinesi lo sanno bene, ciononostante sembrano convinti che, senza Ponte, Messina risorgerà più bella e più superba che pria.
Nel dubbio, mi chiedo quindi, come possano tentare di impedire che vengano spesi, sul territorio che li ha eletti, dieci miliardi di euro – dello Stato o di privati, la sostanza non cambia –, senza degnarsi di darne una spiegazione appena plausibile.

Somme che tanti altri deputati e senatori della Repubblica vorrebbero spostare nelle loro regioni, sottraendole all’Area dello Stretto dove, sostengono, sarebbero un dono alla mafia o, nella migliore delle ipotesi, un inutile sperpero di preziose risorse.
Sono queste ultime le motivazioni che spingono Gianpiero e Francantonio?
Spero proprio di no.
Così come sono certamente false le insinuazioni di chi fa derivare la loro strenua lotta contro il Ponte da ragioni strettamente personali, facilmente individuabili soprattutto per il secondo.
Al contrario, non è certamente campata in aria la tesi dei sostenitori della grande opera secondo la quale l’attraversamento stabile è l’ultima speranza di crescita per un territorio ormai irrimediabilmente devastato dalla speculazione edilizia, con un tasso di disoccupazione giovanile da cimitero delle speranze nel futuro, con un tessuto industriale praticamente inesistente, terra di conquista di affaristi e imprenditori calabro-catanesi e in via di progressiva emarginazione da ogni itinerario commerciale.
Scartata, quindi, l’ipotesi che D’Alia e Genovese vogliano mantenere staccata la Sicilia dal continente europeo, in nome di un isolazionismo suicida e dissipata l’illusione che vogliano costringere lo Stato (non parliamo dei privati per carità di patria, vista la storia dei collegamenti marittimi nello Stretto) a intensificare servizi di traghettamento inquinanti e pericolosi – in tutto il mondo nessuno si azzarda più a far viaggiare centinaia di persone/topi imprigionati dentro vagoni/trappola, a loro volta chiusi dentro navi/gabbie -, a costi ormai insostenibili, resta poco spazio per indovinare le ragioni di un No così categorico.
E’ infatti da escludere che, da persone intelligenti ed esperte quali sono, per bloccare l’iter progettuale, confidino realmente in una fragile mozione fondata sulla contestazione della caratura tecnica del progetto.
Cioè che mettano realmente in dubbio la qualità del progetto definitivo presentato dal General contractor e approvato dal Comitato scientifico della Stretto di Messina. Non bastano poche righe scritte in buon italiano – pur se raccatteranno certamente il sostegno entusiasta della Lega – per demolire centinaia di migliaia di pagine, dense di mappe, disegni e formule, approvate da scienziati e tecnici di fama mondiale.
Escluse motivazioni malevole, velleità isolazioniste, alti ideali politici e deboli obiezioni tecniche, resta solo una opzione: che Gianpiero e Francantonio non condividano il modo in cui è stata condotta l’operazione Ponte.
Se fosse questa la motivazione – soprattutto quella di Gianpiero -, si aprono ampi spazi per un confronto sereno con chi, invece, ha compiuto le scelte e proposto le soluzioni fino ad oggi adottate.
Evidentemente, in queste scelte e soluzioni c’è qualcosa che non ha funzionato in maniera ottimale, quantomeno nei rapporti con le forze che operano sul territorio, se due persone che hanno il dovere di promuovere la qualità della vita e la crescita socioeconomica dei cittadini che li hanno mandati a Roma danno l’impressione di credere che il Ponte sia la più grande jattura che incombe sulla nostra città.