Senza canone nessuno paga il suolo pubblico per la cartellonistica. E il Comune perde un milione all’anno

Se fino ad un anno e mezzo fa la totale deregulation nel settore dell’impiantistica pubblicitaria era causata dalla mancanza del Piano generale degli impianti, uno dei due strumenti fondamentali che detta le regole di concessioni e affissioni, adesso a mancare sono le tariffe per l’occupazione del suolo pubblico. Il risultato? Un enorme vuoto che in buona sostanza legittima l’assoluta anarchia in un settore che da sempre fa discutere e che potenzialmente potrebbe rappresentare un’importante entrata economica per le casse di Palazzo Zanca. Centinaia di migliaia di euro che invece il Comune continua a perdere perché si ostina a non decidere e a non prendere i provvedimenti che servono per mettere un punto e far rientrare tutto nell’alveo della legittimità.

La materia è vasta e a tratti molto intricata, dunque cerchiamo di capire meglio qual è attualmente la situazione. Ad oggi il regolamento in vigore per la concessione di suolo pubblico, meglio noto come Cosap, è quello che risale al 2011 e che negli ultimi mesi ha tanto fatto discutere per le tariffe troppo alte e per le proteste dei commercianti messinesi. E se i riflettori sul regolamento Cosap sono stati quasi sempre accesi per il problema dei canoni da capogiro per tenere fuori dai locali tavoli e sedie, poca attenzione è stata riservata al problema dell’impiantistica pubblicitaria che però si rivela altrettanto importante. O così, quantomeno, dovrebbe essere per il Comune. In quel regolamento, all’articolo 4 comma 4, si definiva che «Il canone per l’occupazione con impianti pubblicitari è determinato applicando la tariffa base per i metri lineari della proiezione a terra dello strumento pubblicitario», criterio che ha fatto sobbalzare molte ditte che operano nel settore e che quasi subito avviarono azioni legali contro il Comune per far modificare questo punto del regolamento giudicato troppo penalizzante dal punto di vista economico. In particolare la G.I.P., Generale Italiana Pubblicità, Srl presentò e vinse un ricorso al Tar, il Comune però fece appello e la questione è finita sui tavoli del Cga. Anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa però ha seguito la linea del Tar di Catania e lo scorso 9 luglio 2014 ha dichiarato illegittima quella parte di regolamento che stabilisce che per calcolare il canone di occupazione suolo per gli impianti si debbano tenere in considerazione i metri lineari della proiezione a terra piuttosto che i metri quadrati che effettivamente quantificano l’area occupata. Una battaglia che la società GIP ha vinto insieme all’Aspes, Associazione Pubblicità Esterna, che già negli anni scorsi aveva più volte stigmatizzato il modus operandi di Palazzo Zanca nella gestione del settore. Il Cga ha così cassato quella parte di regolamento Cosap che fissava i criteri per la definizione dei canoni, nel frattempo sono passati otto mesi e ad oggi non è ancora stata introdotta nessuna modifica. Ciò comporta una conseguenza gravissima: non esiste un canone per chi detiene impianti pubblicitari che insistono sul territorio comunale. E dunque nessuno paga perché il Dipartimento Patrimonio non può chiedere alcun canone.

Una perdita economica per il Comune ingente, la somma si aggira intorno al milione di euro l’anno, e negli ultimi mesi sia il Dirigente del Dipartimento Patrimonio Castronovo, sia l’ex assessore Filippo Cucinotta hanno messo nero su bianco il rischio di un potenziale danno erariale.

La questione è stata affrontata anche da diversi consiglieri comunali che a loro volta hanno chiesto al Dipartimento di predisporre tutti gli atti necessari alla modifica del regolamento, la presidente del Consiglio Emilia Barrile ha presentato in aula una proposta di delibera, ma ad oggi è ancora tutto fermo. L’intenzione di amministrazione e Consiglio è di adottare un regolamento Cosap nuovo di sana pianta, una bozza era stata consegnata proprio dall’ex assessore Cucinotta, bozza che modificava proprio la parte cassata dal Cga per gli impianti pubblicitari ma che si è rivelata identica al regolamento del 2011 che invece dev’essere cambiato anche in quelle parti che oggi colpiscono i commercianti.

Nel frattempo la patata bollente è passata nelle mani dell’assessore Sebastiano Pino, che nei giorni scorsi ha affrontato la questione in una seduta della Commissione Patrimonio insieme al Dirigente Castronovo. C’è chi vorrebbe risolvere il problema facendo un unico nuovo regolamento, ma i tempi saranno inevitabilmente più lunghi. C’è chi propone di modificare intanto la parte che riguarda le tariffe dell’impiantistica pubblicitaria in modo da risolvere subito almeno questo problema. Non è neanche più tanto chiaro se il nuovo regolamento sarà preparato dall’amministrazione o se deciderà di farsene carico il Consiglio, visto il gran lavoro già svolto sull’argomento per esempio da Daniele Zuccarello che nei mesi scorsi aveva anche “prestato” le sue idee per la redazione della bozza di Cucinotta.

Di certo c’è che al momento nell’impiantistica pubblicitaria regna sovrano il caos. E nel caos ognuno fa ciò che vuole senza che a Palazzo Zanca nessuno possa batter ciglio. Negli anni scorsi Tempostretto ha raccontato il “far west” degli impianti pubblicitari (vedi articoli correlati). Oggi sono cambiati alcuni attori e le cause, ma il risultato alla fine è più o meno lo stesso. Una storia che si ripete e in cui alla fine a perdere è sempre il Comune, dunque i cittadini.

Francesca Stornante