Messina e la prevenzione antisismica, ancora tanto lavoro da fare

Purtroppo se ne parla sempre molto poco, generalmente solo all’indomani di un evento tellurico oltre la soglia del danno che causa un significativo numero di danni e vittime. Oggi non basta osservare le rigorose norme antisismiche per affermare che una città è stata costruita a prova di terremoto. Specialmente quando mancano dati oggettivi o le più banali opere di manutenzione. I recenti terremoti dell’Italia centrale, ma anche lo stesso forte sisma che qualche settimana fa ha colpito il Messico, hanno dimostrato ancora una volta come ancora prima di adottare le normative antisismiche occorrerebbe studiare nei dettagli la geologia dei terreni dove si intende realizzare un fabbricato o un edificio, ad usi civili o commerciali. Ad Amatrice come a Città del Messico si è assistito al collasso di edifici in cemento armato, molto simili a quelli che abbiamo a Messina. Su questo si sta muovendo l’ingegnere capo del Genio Civile di Messina, Leonardo Santoro, che ha previsto delle nuove importantissime restrizioni riguardo a tutti quegli interventi di natura invasiva realizzati all’interno degli edifici che ne aumentano la vulnerabilità in caso di terremoto. Da oggi, infatti, non sarà più permesso realizzare degli interventi impiantistico funzionali, particolarmente invasivi, che possano pregiudicare la vulnerabilità di un fabbricato durante lo scuotimento prodotto da un terremoto. A Messina negli ultimi anni si è visto davvero di tutto, come se in riva allo Stretto il pericolo del terremoto sia un rito da sfatare.

Il vero punto debole della città di Messina è quello di poggiare, per la sua intera superficie, su terreni alluvionali, costituiti prevalentemente in prevalenza da sabbie, limi, ghiaie e materiale argilloso. Nei tratti finali delle vallate dei monti Peloritani, lì dove scorrono le principali fiumare, i depositi alluvionali si collegano a quelli presenti lungo la linea di costa, formando cosi una sorta di piccola piana costiera rialzata che nei punti più ampi, nel cuore della città, raggiunge una ampiezza di appena 1 chilometro. Questi depositi alluvionali, dove sorgono i quartieri centrali della città di Messina, favoriscono una importante amplificazione delle onde sismiche sul terreno, rendendo il terremoto ancora più intenso. In genere, le onde sismiche, prodotte da un sisma di grande potenziale, quando incontrano dei terreni soffici, tipo i suoli alluvionali, tendono a rallentare la loro velocità di propagazione. Tale rallentamento conduce necessariamente ad un effetto di compensazione energetica, la quale si traduce in un notevole aumento dell’ampiezza, ossia una maggiore accelerazione del terreno che dà luogo al cosiddetto fenomeno dell’amplificazione sismica. Ciò comporta un maggiore scuotimento del terreno che può produrre dei danni davvero significativi agli edifici sovrastanti, anche in presenza di un terremoto non particolarmente forte. Il fenomeno dell’amplificazione sismica spiega perché sullo Stretto anche i piccoli terremoti, con una magnitudo di 3.0-3.5 Richter, vengono distintamente avvertiti dalla popolazione, specie chi abita ai piani più alti degli edifici.

Basti pensare che durante il violento sisma del 28 dicembre del 1908 l’effetto amplificatore del terreno ha consentito la distruzione di gran parte delle abitazioni e delle case di Messina e Reggio Calabria nel giro di 30 secondi. Negli ultimi anni alcuni studi hanno evidenziato come in alcune zone di Messina si raggiungano dei picchi di amplificazione sismica molto elevati, forse fra i più elevati in Europa. Non è un caso se i picchi più alti di amplificazione sismica si raggiungono proprio nel centro della città peloritana, fra piazza duomo, la zona del municipio, la chiesa dei Catalani, una larga fetta della via Garibaldi, il viale Boccetta e il viale Europa, oltre che lungo l’alveo dei principali torrenti che attraversano la città, da nord a sud, dove in caso di sisma di elevata energia i terreni potranno presentare notevolissime accelerazioni, in grado quindi di arrecare danni significativi agli edifici.

Daniele Ingemi