Omicidio Omayma: sì della Corte all’uso delle dichiarazioni della figlia in fase d’indagini

Importante decisione nel corso del processo sull’omicidio di Omayma Benghaloum, uccisa dal marito Faouzi Dridi, la notte fra il 4 e 5 settembre 2015 con un violento colpo di bastone in testa.

La Corte d’Assise, composta dal giudice Nunzio Trovato e dal giudice a latere Giuseppe Miraglia, ha sciolto la riserva circa l’opportunità di acquisire o meno le dichiarazioni già rese nel corso della fase delle indagini della figlia maggiore della coppia, accogliendo la richiesta della parte civile, avv. Maristella Bossa, che rappresenta i genitori ed i fratelli della donna.

Questa istanza era scaturita al termine della precedente udienza, dopo che il neuropsichiatra Sergio Chimenz, nel proprio elaborato peritale si era espresso negativamente su un eventuale esame testimoniale al quale sottoporre due delle quattro figlie di Omayma e Faouzi Dridi, che si rivelerebbe nocivo per il percorso psicoterapeutico già in atto.

Proprio per non privare il processo di un importante elemento che possa dare la prova dei ripetuti maltrattamenti subiti dalla donna anche prima della sua tragica morte, senza però turbare la figlia maggiore, la Corte ha accolto la richiesta dell’avv. Bossa. La richiesta è stata supportata anche dalle altre parti civili, rappresentate dagli avv. Paola Rigano per le quattro figlie (tutte minorenni) di Omayma e dall’avv. Maria Gianquinto per il Centro Donne Antiviolenza di Messina, presieduto dall’avv. Carmen Currò.

Proprio il CEDAV, nei giorni scorsi aveva invitato la cittadinanza messinese a partecipare all’udienza di oggi, ma l’aula, purtroppo era quasi deserta.

Secondo quanto sostenuto da Faouzi Dridi, che è difeso dall’avv. Alberto D’Audino, l’ultimo tragico litigio era scaturito dalla gelosia dell’uomo, il quale ha affermato che la moglie voleva lasciarlo e che si era innamorata di un altro uomo.

Tutte circostanze che, comunque, non hanno avuto un reale riscontro e che non possono in alcun modo motivare l’uccisione della 32enne tunisina che lavorava come mediatrice culturale nell'Ufficio Immigrazione della Questura ed era in prima linea in occasione degli sbarchi di migranti al porto di Messina.

Infatti, nella fase dibattimentale del processo, è emerso sulla base delle testimonianze rese da persone che conoscevano bene Omayma, un’immagine di una donna devota alle figlie, al marito e sempre impegnata in attività lavorative per sostentare la famiglia.

Nella prossima udienza, fissata il 20 gennaio, si chiuderà l’istruttoria dibattimentale e si svolgerà la discussione finale.